2022/12/15

FISARMONICA, Dissertazione

                 DISSERTAZIONE SULLA FISARMONICA

                                                          di Gino Carbonaro 


 

          “Fisarmonica”? Qualcuno ha scritto che la Fisarmonica è lo strumento più giovane fra i non-pochi che sono stati creati dall’uomo. Basti pensare che per la “Lyra(il più antico strumento della Storia dell’uomo dopo il tamburo) l’inventore aveva utilizzato il carapace di una tartaruga,  e aveva applicato quattro corde realizzate con tendini di pecora.

 

La data di nascita della Lyra è sconosciuta, ma si va indietro a migliaia di anni prima di Cristo, mentre la Fisarmonica (di anni) oggi ne ha solo 140. Ed è stata presentata dal suo creatore, Paolo Soprani di Castelfidardo,  alla Esposizione Universale di Parigi del 1889. Dunque? 133 anni fa. E quando io ho abbracciato la Fisarmonica per la prima volta (nel 1950), la Fisarmonica era sul mercato solo da 72 anni. Dunque? Strumento giovanissimo.

  

Fisarmonica? Come è nata?

 

Ci chiediamo come è nata la Fisarmonica? Come è venuta fuori l’idea?

 

Diciamo che la Fisarmonica nasce dall’idea di costruire uno strumento come l’Organo, ma portatile. L’Organo è  strumento che è stato inventato e costruito nel 275 a.C. da  un certo Ktesibio, un artigiano di Alessandria d'Egitto, un genio, oggi poco conosciuto. Ciò vuol dire che  a tutt’oggi, l’organo ha 23 secoli di vita. E non è poco.

 

Ed è strumento (l’Organo), che oggi si trova in tutte le Chiese del mondo. Strumento grande, maestoso, inamovibile, con le sue canne impressionanti che vanno verso l’alto, verso il cielo. Strumento che parla con Dio. 


 

E la sfida (quella di costruire un piccolo organo portatile) fu raccolta nei secoli da molti costruttori di strumenti musicali. Costruttori tedeschi, austriaci, e anche italiani. Italiani che alla fine riuscirono a mettere a punto quello che fu chiamato Organetto, prima, poi Concertina, e infine Fisarmonica, che è la protagonista di questa sera, da non confondere con il Bandoneon, costruito da un artigiano tedesco chiamato Band (da cui Band-neon, cioè nuovo-Band, ultima creatura dell’artigiano Band))  strumento ad ance e a fiato come la Fisarmonica, con la differenza che la Fisarmonica, utilizzando il mantice in apertura e in chiusura, suona la stessa nota, sia per la bottoniera di sinistra (con i bassi), sia per la tastiera posta a destra; mentre il Bandoneon suona una nota in apertura  di mantice, e un’altra in chiusura, sia per le bottoniere di destra che per quelle di sinistra.

 

Dunque? Chi suona il Bandoneon deve imparare e usare quattro diverse scale dello strumento, memorizzarle e gestirle, per questo è possibile dire che  il Bandoneon, che suonava Astor Piazzolla, è strumento non facile. 


 

Per la Fisarmonica e il Bandoneon, però, quando arrivano sul mercato (1885), non è prevista una collocazione nelle orchestre sinfoniche, la loro funzione è quella di poter essere utilizzati per fare ballare la gente in qualche serata da ballo,  o quella di accompagnare qualche cantante. Per cui i bassi sono (tuttora) forti per poter scandire bene il tempo nelle feste da ballo campagnole. 


 

In ogni caso i Direttori d’Orchestra guardano a questo strumento quasi con la puzza al naso, anche perché al loro apparire sul mercato fece impressione la loro forma; fece impressione il loro suono, che non assomigliava a quello del padre organo di cui la Fisarmonica era idealmente una diretta discendente.


Diciamo che quando fu presentata sul mercato, fu considerata come figlia illegittima dell’organo, dunque una bastarda, e i musicisti professionisti non ne vollero sapere di questo strano strumento che bisognava abbracciare, o indossare, quasi. Strumento che non aveva possibilità - si è detto -  di sistemazione all’interno di una orchestra sinfonica.


Quelli che invece ebbero l’idea di acquistare i primi organetti, i primi in assoluto, furono i Mendicanti che facendo leva sul suono lacrimevole (larmoyant) dello strumento, lo utilizzarono proprio per chiedere l’elemosina e intenerire i passanti.    

 

E, certamente, i musicisti che lo trovavano nelle braccia di un mendicante, si tennero ancora di più alla larga dallo strumento. E, per questo, possiamo dire che la fisarmonica è ancora oggi strumento che si studia solo in alcuni  Conservatori, e certamente, che io sappia, non si studia ancora a Chiang-Mai, in Thailandia, dove io ho tenuto un concerto con la mia Fisarmonica, e sentivo i miei ascoltatori curiosi e interessati.  

 

Adesso devo fare una confessione. Dico cosa pensavo io della Fisarmonica quando ho cominciato a studiarla. 

 

 *          *         *

 

Quando ero più giovane,  quando avevo cinque/sei anni, abitavo a Scicli, in Via Mormino Penna, dove sono nato. A quei tempi tutti i bambini giocavamo fuori, per strada. Tutti gli abitanti lavoravano in campagna (economia fondata sulla agricoltura)  e la città era svuotata, e tutte le mattine, in quella strada, dove non transitava nessuna automobile, passava una famiglia di mendicanti: una matriarca, senza gambe, seduta su un piccolo calesse trainato da un cane bianco, peloso e molto grande. Dietro la matriarca a tre-quattro metri di distanza, seguiva un vecchio, che sarà stato il marito, e per ultimo, seguiva un giovanottone magro come un asparago, gongolante, che teneva abbracciato un organetto al petto. Organetto che questo mendicante, muovendo il mantice, faceva miagolare in modo creativo.   


Insomma, si capiva che quello che teneva abbracciato era uno strumento di lavoro, che sembrava creato apposta per impietosire le persone. Difatti, il  suono prodotto da quello strumento ricordava il pietoso miagolio dei gatti in amore. Ed era un suono strano che, però, a me piaceva, non poco, e quando la mattina li vedevo arrivare da lontano, mi avvicinavo per godere del piagnucolio di quello strano attrezzo sconosciuto.  

 

Questo è il mio primo contatto con quello che in seguito diventerà il mio amato amico.

 

Ma, ecco la confessione che non ho ancora fatta: io da sempre (per anni e decenni),  ho pensato che l’Organetto, la Concertina  (e poi la Fisarmonica) erano strumenti dei mendicanti.

E la stessa cosa avrà pensato anche il mio amico musicista Aldo Migliorisi, con il quale un giorno avevamo progettato di andare lontano da Ragusa, diciamo verso Gela o Agrigento, lui con il suo contrabbasso, io con la mia fisarmonica, per cercare un posticino davanti a un supermercato, sistemare un piatto a terra, suonare e accettare le donazioni. Insomma, dare inizio a un concerto all’aperto, per il quale la Fisarmonica sarebbe stata la Regina. Poi però, non se n'è fatto niente, anche se il progetto non è stato ancora abbandonato. 

 

Ora va detto che, solo da un paio di decenni (dopo che da anni suono la Fisarmonica) ho notato, ma voglio dire ho scoperto, le potenzialità di questo strumento costituito fondamentalmente da tre parti: 

 

1.     Tastiera, alla mia destra, 

2.    Bottoniera, a sinistra, e

3.    Mantice, per scoprire che la fisarmonica è soprattutto nel mantice …   

                  

                      Gino Carbonaro 

  


                        Felicità! Esiste?
    
                                                         di Gino Carbonaro 

    Tutti conosciamo la parola “Felicità”. Da sempre. Però sfugge il suo significato profondo. Per alcuni filosofi greci “Felicità” è sinonimo di benessere e di serenità sociale, per altri è equivalente di gioia. Io ho pensato sempre che felicità era solo un nome, un'idea che si poneva per indicare qualcosa di ideale, che di fatto non poteva esistere. Invece, a sorpresa, mi accorgo che io (persona) ho avuto la fortuna di vivere momenti di vera-totale-meravigliosa “Felicità” moltissime volte nella mia vita, e ho potuto scoprire che si tratta di una emozione, di una percezione, di uno stato d’animo non facilmente definibile e spiegabile: fatto unico, indescrivibile a parole, che prevede condizioni non-semplici perché possa realizzarsi. Condizioni dove il fisico e lo spirituale di un corpo e di un’anima sono fusi in un tutt'uno, con una Donna speciale (e in un silenzio incantato) che fa vivere a me uomo, una condizione di pace, serenità, dolcezza, armonia,

2022/09/29

LINGUE VEICOLARI E LINGUAE SUBALTERNE

Lingue veicolari e Lingue subalterne Un cordiale saluto a Voi tutti amici carissimi, e un grazie di cuore all’amico Douglas Ponton, che mi ha voluto qui stasera per parlare del dialetto siciliano, o della mia storia con il dialetto. Parlare del nostro dialetto, della sua importanza e della sua funzione per ognuno di noi, è importante, soprattutto perché qui, nella nostra Terra, il dialetto viene ancora parlato in famiglia, o fra amici, ma anche per creare interessanti poesie (in Siciliano). E, possiamo dire che non sono pochi i poeti che usano ancora fare uso del dialetto siciliano, con notevole successo. Io sono nato a Scicli poco prima della Seconda Guerra Mondiale, nato in un periodo storico quando in tutta la Provincia di Ragusa erano state registrate meno di mille automobili. Ed erano momenti, quando le persone si muovevano a piedi, o a dorso di asino o di cavallo, e solo pochi facevano uso del carro o del calesse. E chi abitava a Scicli poteva vivere (e restare) tutta la vita a Scicli, o nelle sue campagne, quando l’economia era ancora fondata sull’agricoltura. E, ricordo benissimo un mio parente che una volta (nella sua vita) era andato a Catania, e quando parlava con i suoi amici riusciva sempre a infilare nel discorso: “Quando sono andato a Catania”, e sentiva di avere acquisito un vantaggio sul gruppo di amici, che su questo pianeta non avevano visto altro che il loro paese. * * * Ma, queste mie considerazioni servono per dimostrare che quando io ero piccolo, i paesi di questa nostra provincia, erano delle isole. Paesi vicini, non più di 10 Km, ma isole. E mancando i contatti, i vari dialetti erano come fratelli, che si rassomigliavano, ma avevano una loro “riconoscibilità”. E, quando nel 1947 la mia famiglia si trasferì da Scicli a Modica (otto km di distanza) notai subito che a Modica si parlava un dialetto che aveva molte differenze tonali e linguistiche. E lo stesso (io notai) quando in seguito mi recai a Ragusa. Anche a Ragusa i toni, la lunghezza delle vocali, la melodia linguistica erano tipicamente ragusane, di modo che, per noi era facile capire dalla parlata, se una persona era di Scicli, di Modica o di Ragusa, ma anche di Comiso o di Vittoria. Tutti con timbro e caratteristica differente (anche se di poco), come diversi erano i dialetti di Catania e di Palermo. Queste piccole differenze, però, nell’arco di un cinquantennio sono quasi scomparse. In ogni caso, il nostro Siciliano (oggi lingua “minoritaria”), era già parlato (in tutta la Sicilia) al tempo dell’Imperatore (tedesco) Federico II, (tredicesimo secolo), quando la lingua Siciliana era lingua ufficiale, parlata e scritta, portante e importante, che fu la base della “Scuola Poetica Siciliana”: lingua che ha dato vita all’Italiano del nostro Dante Alighieri; lingua che ha resistito fino al tempo della Unità d’Italia (seconda metà dell’Ottocento) quando fu sostituita dalla lingua italiana necessaria per capire i Piemontesi che avevano conquistato la Sicilia, e tutte le altre parti d’Italia. Lingua italiana che verrà usata nelle scuole, ma che qui da noi non è riuscita tuttora a cancellare la nostra lingua madre (il Siciliano), lingua inscritta nel DNA di ognuno di noi, ma lingua che noi tutti sappiamo che avrà i giorni contati. * * * Già nella mia nuova famiglia, la mia lingua (il Siciliano) bussava alla porta per entrare, ma noi (mia moglie ed io) lo abbiamo lasciato fuori dalla porta. Qualcuno potrebbe chiedermi perché a casa mia non si parla il dialetto siciliano? Ecco la risposta: Mia moglie è scozzese, e, di necessità, abbiamo scelto di parlare Italiano. I nostri figli hanno fatto le scuole italiane, capiscono il dialetto siciliano, ma parlano anche l’Inglese. Di fatto sono italiani e scozzesi al 50%. Adesso, uno dei nostri figli abita e lavora a Lussemburgo ed è sposato con una ragazza russa di origine ebraica. La mia nipotina ha sangue russo-ebraico, scozzese e italiano, e nella famiglia di mio figlio Lucas si è “scelto-o-deciso” di parlare Italiano, Russo, Inglese, ma non Siciliano. E, a voler chiedere a Lucas cosa ne pensa di questa apertura multi-etnica della sua famiglia, mi dice che: “È bene parlare più lingue, perché aiuta a vedere le cose da più punti di vista, ma anche a riscoprirsi in personalità diverse. Per esempio? - aggiunge Lucas - Parlo russo come un bambino, uso il Francese per comunicare con Lussemburghesi, parlo l’Inglese “professionale” al lavoro, e l’Italiano a casa”. Ruoli diversi, lingue diverse, senza necessità di fare leva sul dialetto siciliano. Altro nostro figlio, Denis, vive a Edimburgo, in Scozia, e coabita con uno spagnolo. In quella famiglia e in quella Terra di Scozia si parla Inglese. Il Siciliano (e l’Italiano), ma anche lo Spagnolo sono usciti definitivamente dalla finestra. * * * Come è possibile vedere, tutti abbiamo bisogno di una lingua “veicolare” per comunicare con persone e amici nuovi, in una società multi-etnica in continuo cambiamento. E la lingua che si sceglie non è più la lingua o il dialetto che ognuno di noi parlava da piccolo. * * * Ricordo dei miei amici sposati, lui (Giorgio) siciliano, lei (Loose), olandese che comunicavano in inglese, che non abbandonarono mai nelle loro vita, anche se entrambi sapevano che quella loro cosiddetta lingua “veicolare” era un pasticcio di lingua inglese inventato da loro, perché nessuno di loro due conosceva bene l’inglese accademico. La loro necessità? La creazione/invenzione di una lingua familiare? Era una scelta. * * * Altra considerazione. Quando io ero piccolo, io sentivo parlare nella loro lingua dei Veneti, dei Lombardi, dei Piemontesi, ma non capivo una sola parola, così come loro non capivano il Siciliano. Dunque era gioco-forza parlare in Italiano. Oggi? È la stessa cosa. Non possiamo comunicare con Francesi, Tedeschi, Svedesi, senza scegliere una lingua veicolare comune. Lingua che oggi è (lo sappiamo tutti) l’Inglese. * * * Qualche tempo fa conversavo (in Italiano) con il mio amico tedesco, Martin Lutz, Direttore di Orchestra in Wiesbaden, il quale mi raccontava di essersi recato a Roma per perfezionare il suo Italiano (necessario per la lirica), ma, con sua grande sorpresa, si era accorto che tutti i Romani parlavano l’Inglese: lui cercava di parlare Italiano, ma i Romani rispondevano in Inglese. Era da ridere. Ma è la prova che i tempi sono cambiati. I Romani si sentono internazionali e si aprono all’Inglese per capire e farsi capire. Atto di necessità, di apertura e di gentilezza nei confronti del turista.. * * * E mi piace aggiungere che io sono stato in Thailandia, la cui lingua è “tonale”, difficilissima da apprendere per noi occidentali e per coloro che fanno uso di lingue sillabiche (o foniche). Ed è lì, in Thailandia, dove è possibile notare che tutte le insegne dei negozi sono scritte in Inglese, e in caratteri grandi, e vedere riportata sotto l’Inglese, la stessa parola in lingua e caratteri thailandesi. Ed è questo il segnale che l’Inglese non solo è entrato di necessità in Thailandia, ma sta fagocitando la lingua del luogo, dove è possibile notare come “quasi tutti” i locali (come a Roma) parlano l’Inglese. * * * Ma, ho notato un altro paradosso: il mio amico Douglas Mark Ponton, docente di Inglese alla Università di Catania, ha organizzato un Convegno sul ruolo e la fortuna delle lingue minoritarie: Celtico, Gaelico ecc. L’obiettivo era quello di cercare di fare qualcosa per coglierne la identità, o cercare di salvare queste lingue storiche, ma tutti i relatori parlavano (d’obbligo) la lingua Inglese, per fissare il concetto che le lingue minoritarie non dovrebbero morire. * * * Adesso ci si chiede: “Cosa accadrà in futuro?” Parleremo tutti una “lingua veicolare” necessaria per tutti noi. E vedremo come le nostre lingue materne, quelle di cui abbiamo parlato fin da piccoli, scompariranno? Nessuno può dire. Di certo questa è l’epoca della globalizzazione, della evoluzione, degli interscambi e della velocità. Una volta (tempi passati) per andare (a piedi) da Scicli a Ragusa (20 km) si impiegavano quattro ore (o forse più), ed è lo stesso tempo che oggi impiega un aereo per andare da Catania a Edimburgo. Come dire che è il tempo a comandare sulla distanza”. Distanza? Non esiste più se è possibile collegarsi in internet in tempo reale con persone ed eventi di tutto il pianeta. E nessuno saprà dire quali saranno gli effetti psicologici sulle nostre personalità, e su quelle dei nostri figli. GINO CARBONARO P.S. Interessante riportare una bellissima poesia di Franca Cavallo che parla della interferenza (o violenza) dell’Inglese sul dialetto modicano. SIEMU ’TALÏANI! E cchi schifìu è! Mancu a li cani! Cu tuttu śtu parrari stranïeru! Nun siemu ’ngrisi e mancu ’miricani! Siemu ’Talïani, botta ri vilienu! Pi ścàngiu ri “va beni”, sienti “occhèi” i ścarpi ścasillati su’ i “sabò” se ammìti quattru amici è “’ncocchittelli…” Ma ppi ddavèru, ciùi nun si ni pô! ’A fini râ simàna èni ’u “vuicchenti” p’arrùstiri pigghiamu “’u barbichiù” (cufùni si ciamava anticamenti!) e rô dialettu ’n si ni sappi ciù! Se gghièmu ô risturanti pi mangiari ’ntra i pitanzi scigghièmu chiddi “scicchi” e se i “topinambùr” jèmu a urdinari sapiti cchi ni pòrtunu? I patacchi! Ni rìciunu ri fari lu “cecappi” all’ariupuòrtu faciemu lu “cechinni”: ri lu ’talianu ciù cu n’àppi n’àppi! Facièmini ’u “mecappi”… e gghièmuninni! Franca Cavallo, da “Rumani tu cuntu”, 2003

Lorenzo Migliore POESIE

 Filosofia della vita nelle Poesie 

di 

Lorenzo Migliore


                                                              di Gino Carbonaro


Un cordiale saluto a Voi tutti amici carissimi, e un grazie (anche da parte mia)  per essere intervenuti a questo appuntamento con la poesia di Lorenzo Migliore, di Lorenzo (il) Migliore). 


  • Un grazie ancora sento di dover rivolgere alla nostra carissima Paola Stella per le parole (... per le belle parole!) con le quali ha voluto presentarmi a Voi, questa sera. 


  • Perché? E’ vero che sono stato invitato in Giappone, e ho fatto ascoltare Musica Popolare Siciliana in otto scuole Medie, a Osaka e Kobe, ed è vero che sono stato invitato anche in Thailandia. 


  • E sempre in Thailandia ho tenuto un concerto con la mia Fisarmonica al Conservatorio di Chiang-Mai. Cose belle dal mondo!

 

  • E mi piace avere ascoltato, che la casa Editrice Thomson ha  pubblicato e fatto conoscere “Carrube e Cavalieri”, la grande opera di Raffaele Poidomani. Questo è accaduto poco più di 50 anni fa, quando ero “più giovane”.  E me l’ero quasi dimenticato. 


  • Proprio per questo, un grazie di cuore alla professoressa Paola Stella.  Grazie Paola.


  • E ancora un grazie, come “Atto-dovuto”, sento di dover rivolgere al vero protagonista di questa bella serata, al nostro Lorenzo Migliore, che ha voluto invitarmi per dire quello che la sua buona poesia ha “detto-e-dato” a me lettore. E fra poco? Ascolterete.


  • Ma, lasciatemi dire, ancora (un minuto), che sono felice, felice di essere qui questa sera, noi tutti, insieme, appassionati della bellezza della poesia, ma soprattutto felice perché mi ritrovo/ci ritroviamo insieme un pugno di amici, antichi, che ci incontriamo da anni e decenni, per discutere sui grandi temi della Letteratura, della Poesia e dell’Arte, come è questa sera. 


  • E le mie parole sono rivolte specificamente a 

  • Danilo Amione (critico cinematografico eccezionale, che non è secondo a nessuno), a 

  • Franco Giorgio (regista insuperabile),

  • Federico Guastella (critico eccezionale), a 

  • Domenico Pisana, (modicano DOC, che ha creato un centro culturale a Modica, una fucina, una officina, che da anni ha reso questa provincia uno dei centri culturali più importanti d’Italia). 

E dove la mettiamo la nostra

  • Paola Stella (scrittrice e pittrice eccezionale?)

  • E sono felice ancora di essere circondato da bravissimi Attori, bravissime attrici, e Musicisti di riconosciuto valore professionale, come potremo verificare fra poco. 

  • Insomma, AMici che AMmiro e AMo. 

  • AMici che AMmiro e AMo. 


  • Eventi continuati in tutti i settori dell’arte, come dimostra ancora la presenza di pittori e scultori di valore, di musicisti eccezionali, come ci dimostreranno i nostri concertisti questa sera. Artisti,   che arricchiscono questa nostra Terra, e mi hanno fatto pensare che questa piccola provincia Iblea stia facendo risorgere una piccola Attica. E i lavori del nostro Lorenzo dimostrano proprio di essere noi in una piccola nuova Attica 


Ma, entriamo in argomento


  • Devo dire che seguo e (in-seguo) Lorenzo Migliore da anni. Da quando nel 2015 ha pubblicato il suo primo libro di poesie, titolato Odi perdute”.  Libro che mi ha colpito non poco, libro che io ho letto più volte, con molta attenzione. Libro che  ho tenuto sul comodino per molto tempo, per leggere tutte le sere, e riflettere sul contenuto delle  sue poesie. 


  • Le poesie rappresentano sempre la radiografia della cultura di chi scrive, documento di un sentire, di uno stato d’animo, di una filosofia. E rappresentano un ventaglio che enumera i non pochi aspetti della vita che viviamo. 


  • I tre libri di poesie, di cui si parlerà questa sera, contengono la somma di “tutte” le esperienze vissute dal nostro Lorenzo in tutta la sua vita. 


  • Aggiungendo ancora che per il nostro Lorenzo Migliore, uomo che nella vita non è riuscito mai a fermarsi, ora, davanti alla sintesi che rappresenta la sua poesia, è stato costretto a fermarsi. A fermarsi, per riflettere, meditare, e interrogarsi su tante cose del suo passato e del suo presente.


  • Ed è lui stesso, che si confessa sui suoi progetti letterari e poetici, quando in una poesia titolata  “La voglia pazza”, facendo riferimento ai suoi progetti scrive:


       Non cerco scaltrezza di poeta/

rifuggo dall’artifizio letterario/

….

Voglio essere solo me stesso/

Cantare in modo piano e sussurrato

     quello che sento in fondo al cuore/, e quello che sente in fondo al cuore? Sono


  1.           Messaggi d’amore

  2.                 Pensieri reconditi

  3.                       Racconti

  4.                             Parole

  5.                                   Sofferenza

  6.                                           Dolore 


  • Questo l’obiettivo. Questo il programma che ci comunica il nostro Lorenzo in questa sua poesia dove, per prima cosa,  scrive … 


  • Messaggi d’Amore? 

  • Difatti, il primo dei temi trattati nelle sue poesie è l’Amore, e addirittura, uno dei suoi libri inizia con la poesia Amore. 


          L’Amore, che è sentimento universale. 

               Amore per la Donna amata/ ma Amore, ancora, 

                    per la bellezza della Natura.  


  • Ed è bello quando l’Amore per una Donna 

           e l’Amore per la Natura si fondono. 

           Stiamo pensando, sto pensando,  a una poesia 

           che mi ha riempito l'anima di dolcezza... 


  • L’odore della Zagara, che verrà letta fra poco, nella quale l'Autore, rivolgendosi alla sua amata dice:


  •  Ricordi la passeggiata

 lungo quel sentiero

tra le arance appena rosa/

…..

In arrivo era l’imbrunire/

la Luna apparve lenta/

nel sereno/

tra piccole nubi bianche rarefatte/vaganti

Si avvertiva intenso l’odore della zagara

frammisto al tuo profumo di Donna/


  • Il secondo dei temi ricorrenti nella poesia del nostro Lorenzo è il Ricordo del passato: 


Il Cortile”, di casa sua, a Menfi/ e il Tempo, il tempo  che ovatta la realtà. Leggiamo un passaggio.


Ricordi


Come una nuvola

Il ricordo mi trasporta/


Ti rivedo, oh mio cortile/


Diletto luogo 

degli anni verdi …/


sento la frescura di una brezza giuliva

che si insinua fra basse case/


ognuna dipinta per conto suo


Ed è poesia che tocca l’anima, e che ascolteremo fra poco letta da una delle nostre lettrici….


Il terzo tema di questo ventaglio ricorda la famiglia, ma anche suggerimenti che Lorenzo vuole dare a figli e nipoti. Esperienze della sua vita. E sto pensando ad alcuni titoli, ad alcune poesie: 


Mio Padre, Manuela, Caro Figlio, Mamma,


 e di queste riportiamo qualche verso…


           Mio padre      


  • Lo ricordo sempre/ 

antico faro della mia vita/

mi ha insegnato tutto del suo mondo

fatto di valori e di lavoro:

di dovere, amicizia, umiltà,... 


e l’altra sulla Madre


Mamma


  • Il fiore più bello/

Linfa della mia vita/

fatta di baci, di carezze,

di fragranze, di bellezza..


  • Ma al di là di tutto, vanno considerate le poesie che si soffermano su  Considerazioni filosofiche, sul senso del nostro esistere. 


  • Ed è alla “Solitudine” (importante categoria umana e di tutti gli esseri viventi) che Lorenzo Migliore dedica due poesie, dove l’Autore si chiede…  

 

Solitudine


  • Chi può immaginare

l’orizzonte, il futuro

Cosa c’è dietro l'angolo

La solitudine che si accompagna

all’ansia del tempo

che avido scorre


  • Ed è concetto che mette in risalto l’incertezza di un domani spesso bagnato dal senso dell'angoscia

altra categoria umana, attinente alla nostra esistenza.


  • Ma, c’è filosofia dove si parla di vita, di morte, di sofferenza, di dolore, e di tristezza, di angoscia.


  • E mi viene da pensare alla poesia dedicata al Tronco che ha perduto la vita, e si staglia ancora superbo (con tutta la sua solitudine e tristezza) sullo sfondo di bianche nuvole. 

  • Poesia che è metafora di questa nostra vita. Ed è filosofia. Estrapoliamo anche qui qualche verso. 


  • Il Tronco 


Solo con la tua tristezza/ 

Tu, tronco/ ti stagli superbo

sullo sfondo delle bianche nubi


con qualche ciuffo di verde ai tuoi piedi/

cresciuto per caso tra le pietre/

come fossero fiori sulla tua tomba.


Povero albero!


Dall’alto del tuo tronco sembra

tu voglia parlare con le nuvole

per gridare il tuo tormento … 


  • Poesie intense, che sono quasi denunzie, non si sa contro “Chi”. 

E lo stesso vale per la poesia “Il Fiore”.  

  

  • Il Fiore


  • Il Fiore che si ritrova schiacciato fra le pagine di un libro dai fogli ingialliti. Schiacciato da vivo, e destinato a perdere la vita, e con essa, l’incanto del suo profumo. Ed è ancora metafora che per la tangente riconduce a noi umani. Poesia bellissima, densa di filosofia, che sarà letta stasera. Vediamo insieme alcuni passaggi.


  • Schiacciato 

in mezzo alle pagine del libro

dove sono rinchiuso/

che dolore lancinante

la fine della mia intimità

fonte di profumi/

messaggi di dolcezza

per i sogni e l’amore/

Tutto è imprigionato

Tutto è finito

tra pagine ingiallite 

e memorie profanate.     


  • Mi ero dato il carico di parlare della Filosofia/ contenuta all’interno di molte poesie di Lorenzo Migliore/ e si tratta di poesie/ che riguardano la condizione dell’uomo/ la sua solitudine, si è detto/ la sofferenza e le angosce che accompagnano questa nostra vita. 


  • Ed è legge suprema alla quale tutti dobbiamo ubbidire. / Non solo gli umani, ma anche animali e piante./ E sono contenuti che ci fanno dire che ogni poesia è come una moneta che ha due facce: il pensiero che tutti dobbiamo seguire/ e la poesia che tocca l’anima/ pensiero-e-poesia che si prendono per mano e camminano insieme.


Chiudiamo dicendo che queste poesie nascono come testimonianze del viaggio fatto dal nostro Autore nella sua vita. Da leggere, dunque, e meditare. 



GRAZIE   


Gino Carbonaro