2011/04/24

Castello di Donnafugata - Ragusa


Gioielli di Sicilia

Un’opera d’arte firmata: barone Corrado Arezzo de Spuches

1.  il nome e la fondazione del Castello

            Il nome Donnafugata (in sicil. Ronnafuata) viene fatto derivare dall’arabo ’ayn-as-jafât’, [1] che dovrebbe significare “Fonte della salute”;  resta, comunque, poco chiaro come nel corso dei secoli la parola araba, fatta propria dai siciliani, abbia potuto nel corso dei secoli essere modificata in questo modo.
            I più, fanno risalire le origini del Castello di Donnafugata all’anno Mille, al tempo della dominazione araba in Sicilia, [2]  e qualcuno ritiene siano stati proprio gli Arabi a costruire le torri di avvistamento con annessa guarnigione militare fortificata per controllare il mare.
             E’ più probabile, invece, che siano stati i Normanni a costruire la vedetta turrita, che prese il nome dalla sorgente che  era stata battezzata dagli Arabi. [3]
 Ed è forse più attendibile, che siano stati i nuovi dominatori a costruire una guarnigione per il controllo della parte sud-orientale della Sicilia, dalla quale, per secoli ancora i Normanni [4]  temettero possibili sbarchi ad opera dei temibili Saraceni. [5]   In questo caso la fondazione del fortino dovrebbe essere spostata al XIII sec.


 2. Primo ampliamento del Castello

            Verso i primi del XIV sec. il Conte Manfredi Chiaramonte fa costruire accanto al primitivo Castrum una più ampia struttura abitativa, sempre difesa da alte mura, come era nella logica del tempo. [6]
 Lentamente, la costruzione cambiò la connotazione: da struttura militare divenne residenza padronale per la gestione del patrimonio agricolo (frumento, carrube, olive, e così via). Di fatto siamo all’idea della villa gentilizia, che è posta al centro del feudo, dalla quale i proprietari sovrintendono e controllano il feudo e l’annessa masseria.

3.   Il Castello di Donnafugata viene acquisito dalla famiglia Arezzo

        Verso la metà del XVII sec., il feudo di Donnafugata, [7] con l’annesso casato passa dal barone[8] Gugliemo Bellìo Caprera a Vincenzo Arezzo la Rocca barone di Serri, che nel 1648 ottiene l’ulteriore investitura di Barone [9] di Donnafugata.     
         Ma è solo nella seconda metà dell’Ottocento che il Castello acquisisce la forma e le dimensioni attuali.
 Fu dopo la realizzazione dell’Unità d’Italia che il barone  Corrado Arezzo de Spuches, erede di una delle più nobili e ricche famiglie iblee, marito di donna Concetta Arezzo di Trifiletti, dà inizio all’ampliamento del Castello di Donnafugata, che realizza attorno all’antico nucleo abitativo e a due torri saracene rimaste.
 L’impegno economico è notevole, lo scopo è autocelebratico o se vogliamo di status; il modello nella mente dell’ideatore dovrà ricordare lo sfarzo della reggia di Versailles. Di fatto il Castello di Donnafugata, che si sviluppa su una superficie di 3348 mq, e conta ben 122 vani utili, ha tutte le caratteristiche di una piccola reggia: 80.000 mq di parco ricco di piante esotiche, vasche, giochi d’acqua, scherzi, giardini alla francese e persino un labirinto; copie di statue del Canova (Fauno e Psiche) nella superba e luminosa scalinata di ingresso; salone immenso dove sono affrescati gli stemmi dei casati e delle città più importanti della Sicilia, a ricordo di quanto è possibile trovare al castello di Windsor; salone degli specchi, copia ridotta di quanto era stato ideato nel XVII sec. dai famosi architetti di Versailles; sala della musica, salone per i fumatori con annessa sala da biliardo, salone delle donne, camera da letto del vescovo (per quando veniva ospitato); e ancora, una fornitissima biblioteca ricca di libri rari, preziosi e tutti rilegati; una pinacoteca ricca di opera bellissime, che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello per un nobile uomo di cultura; e persino un museo di reperti archeologici con vasi e ceramiche greche provenienti dalla vicina Camarina.
 Tutte le pareti sono ricoperte con carte da parati damascate e tessuti di seta, con affreschi e trompe-l’oeil, ancora arricchite da quadri di pittori famosi, soprattutto ritratti di ottima fattura; e ancora tendaggi alle porte e alle finestre, lampadari con vetri di Murano, specchi, stucchi e decorazioni, e sui mobili e ovunque sono messi in bella mostra decine di orologi d’arte, opera di famosi orologiai svizzeri.
Nel Castello, che va considerato un’opera d’arte, senti ovunque la mano del barone Corrado Arezzo (à vedi scheda), ideatore e coordinatore del tutto; un uomo dalla personalità   eclettica ed eccezionale, se si pensa al livello culturale della nobiltà di quell’epoca.
 Sicuramente intelligentissimo ed eccezionale questo uomo ricchissimo, dotato di ampia cultura, [10] nella accezione propria del termine; finissimo intenditore di arte, amante della musica, della pittura, della poesia, del teatro, dotato di un gusto sicuro e interessato a problemi economici e politica.
         Di fatto, il Castello di Donnafugata è il ritratto della sua filosofia della vita e della sua personalità. La collettività iblea non avrebbe ereditato questo gioiello senza l’intervento del   barone Corrado Arezzo de Spuches.
 Sul Castello di Donnafugata, forse giustamente criticato per il suo disarmonico eclettismo, pesa non poco l’intervento voluto dall’erede francese Gaetano Combes, barone di Léstrade, che verso i primi del ’900 fece aggiungere alla facciata preesistente un loggione-galleria di stile neo-gotico, veneziano, si è detto, ma sostanzialmente liberty[11] veneziano e neo-gotico, che, anche se bello, si salda malamente con la precedente austera struttura del Castello e stride non poco con il landscape e le costruzioni circostanti.

                                                        Gino Carbonaro
                                                           9 gennaio 2003         
                                                            
[1]  L’attribuzione è di Raffaele Solarino che la riporta ne La Contea di Modica;  la Fonte della salute esiste tuttora a Donnafugata e pare alimenti un pozzo.
[2]  L’invasione araba va dall’anno 827 (inizio della conquista) all’anno 1098. L’ultima battaglia fu quella combattuta nella piana di Donnalucata. In quella occasione in aiuto dei Cristiani scese dal cielo la Madonna, bianca su un cavallo bianco, che combattè a fianco dei Normanni per sconfiggere gli infedeli.
[3]  Tanto si ritiene di poter affermare in quanto, prima della invasione della Sicilia, gli Arabi detenevano il controllo del Mediterraneo, e non lo perdettero neppure dopo la cacciata avvenuta alla fine dell’XI sec. ad opera dei Normanni.
[4]  La regione degli Iblei fu l’ultima ad essere espugnata dai Normanni dopo una guerra durata trent’anni. Per questo fu eletta a Contea. IL privilegio era dettato dalla sua importanza militare.
[5]  I Turchi perdettero il controllo del Mediterraneo dopo la battaglia navale di Lepanto (1571).
[6]  Fonte non confermata.
[7]   Il feudo è eletto a baronìa al tempo della dominazione spagnola.
[8]  Barone: è uno dei titoli più diffusi e certamente il più basso dell’ordinamento feudale. Il nome, di origine spagnola, vuol dire “Uomo (libero)”, “Signore” e indicò il Feudatario che veniva investito direttamente dal sovrano. In Sicilia era il titolo nobiliare più comune dopo quello di cavaliere. Nei tempi passati si acquisiva dietro pagamento di una somma fissata dal re e pagata dal futuro titolato. Il re bandiva periodicamente la concessione di titoli nobiliari allorquando aveva bisogno di soldi (sistema indiretto di tassazione una tantum):  per rinnovare la flotta, per rinsanguare la dote di una figlia da sposare, o quando le casse erano vuote. Barone, dunque, è l’uomo potente, che spesso si fa arrogante e pre-potente; per questo il termine barone acquisì nel corso dei secoli una accezione negativa: nel senso di individuo che conosce solo la sua legge, quella del più forte. Baro, detto di chi truffa al gioco, deriva da barone.
[10]   Cultura è la capacità produttiva della mente.
[11]  Lo stile Liberty prese il nome da Arthur Liberty, un architetto-disegnatore inglese, che verso la fine dell’Ottocento inventò un nuovo stile artistico che si ispirava ad un totale eclettismo, mescolando lentamente, arte egizia, greca classica, romanica, gotica, veneziana e floreale con rigidi principi geometrici e libertà di inventiva.

1 commento:

  1. Estratto da una conversazione sul Castello di Donnafugata, tenuta da Gino Carbonaro ai soci del CAI di Ragusa il 3 gennaio 2003

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