2011/04/18

Tristezza del Fado


Marinai nelle mani del Destino

                                                di Gino Carbonaro


     Il Fado può essere utile per capire l’uomo. In portoghese, “Fado” è il Fato, il Destino, sconosciuta entità che domina il mondo, protagonista massimo delle cose che accadono sulla Terra. Il Caso, anche, che è la “Tyche” dei greci, il “Karma” del buddismo.

    Fato è colui che ci prende per mano e ci conduce dove vuole lui. Con una mano ci prende, ma con l’altra ci lascia liberi per farci illudere che noi siamo liberi di fare le nostre scelte. 

     In realtà, nessuno può dire cosa ci riserva il Destino, né quale sarà il nostro domani. Qualche volta cerchiamo di liberarci per sgusciare al Destino, lottare per decidere il cammino della “nostra” vita, ma in questi casi, Lui, il Fato, si infastidisce, e ci afferra con più forza e ci porta anche dove noi non vorremmo andare. Ducunt volentem fata, nolentem trahunt (il Fato accompagna chi ubbidisce, ma trascina con forza chi recalcitra)  dicevano i latini.

     Il Fado portoghese ha a che fare col Mare e col Destino, due energie potenti e misteriose. Ed è canto antico che registra dolore e tristezza di quei marinai che mettevano a rischio la vita nelle acque infide degli oceani. Ed erano gli stessi uomini che per la gloria della patria e dei regnanti di turno, salparono per i primissimi viaggi di circumnavigazione dell’Africa e, subito dopo la scoperta dell’America, per conquistare parti del Nuovo Continente.  
  
   Salpavano i galeoni della flotta portoghese fra benedizioni di preti e suoni di fanfare, ma il cuore di quegli equipaggi era velato di tristezza, e si leggeva nel volto dei familiari, immobili sul molo, uniti in gruppi di silenzio, a dare l’ultimo addio a coloro che avrebbero dovuto scrivere la storia del Portogallo. Salpavano le navi, e scomparivano all’orizzonte inghiottite dall’infinito. La meta era sconosciuta, la rotta non segnata da nessuna mappa, e nessuno poteva dire quando e se quegli uomini scelti dalla “necessità” e dalla “sorte” sarebbero ritornati là da dove erano partiti.
     Per il viaggio di circumnavigazione del mondo di Magellano partirono cinque galeoni fra benedizioni e rullii di tamburi, suoni di trombe e canti di  inni nazionali, ma dopo anni, solo una nave ritornò in patria con un pugno di uomini persi. Le altre quattro navi, una alla volta, erano state ingoiate dagli oceani.
    
     Destino, senso dell’esistere e della lontananza, dolore e sofferenza per le cose che muoiono,  mistero della vita, non esclusa l’ombra della morte, tutto è racchiuso nello struggente canto del Fado che, proprio per questo, è musica universale, in quanto, con quella filosofia che sconosce la logica, parla al cuore di tutti noi. In quel canto, pregno di nostalgia e di dolore, l’Universo sembra governato da una legge che recita: “Nessuno deve capire come è fatto il mondo, né da chi è stato fatto, né perché è stato fatto”. Così, l’uomo, prigioniero della solitudine, abbandonato a se stesso, fa sentire la sua pena in un canto che è pianto “lu cantu è chiantu”, direbbero i siciliani. È così che il Fado portoghese rivela, a chi sa ascoltare, lo stato d’animo dell’uomo gestito dalla forza del Destino.

                                                                            Gino Carbonaro

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