2012/03/08

Igiene nei tempi antichi Catusu, Cantru, Silletta


Antenati del Gabinetto

Catùsu, cántaru, cànŧŕu, cascìtta, silletta

                                                                                               
                                                                                           di Gino Carbonaro




   Catùsu (a Modica), cántru (a Ragusa), cantarèđdu (vezzeggiativo), cascìtta (a Comiso), sillètta (a Scicli), cántaru (altrove), era il gabinetto “portatile” di una volta. Raffaele Poidomani - si è detto - lo definisce “espressione di una fognatura mobile”; per Parini erano “spregiate crete”; ma l’idea doveva essere buona e l’attrezzo funzionale, se qualcosa di molto simile è stato creato apposta per i moderni roulottisti, che pure si degnano di usarlo. Il catusu-canŧŕu classico è un recipiente fatto di argilla smaltata dall’altezza approssimata di cm. 35, che ricorda vagamente quella di un cappello a cilindro capovolto, con i bordi dolcemente slabbrati (per agevolare l’adesione e la concentrazione del fruitore), sotto i quali si trovavano quattro (a volte otto) orecchiette rotonde (anse, manici) che ne impreziosivano la forma, ne agevolavano la presa e quindi gli spostamenti, senza perciò temere il pericolo che potesse scivolare di mano.
                                       
Cantru-Catusu

      Detto “c-c”, questo attrezzo giustamente degno di minzione, era destinato al contenimento dei residui biologici liquidi e semisolidi, e veniva tenuto in casa, generalmente sotto il letto, o in una stanzetta a parte (ove questa ci fosse stata). Il catusu-cantru era usato generalmente dalle donne, dal momento che gli uomini, alla bisogna, si servivano di riservati posticini all’aria aperta. Così ci è stato raccontato, e così è riportato in un indovinello siciliano: Ogni ġğ-jôrnu all’ammucciuni fazzu visita ’nta `l’ôrtu/ Lassu `đà lu caviġğhiuni/ Lu pirtùsu mi lu pôrtu. [1] (trad. Ogni giorno mi reco di nascosto nell'orto, lascio lì il malloppo, ma il buco me lo porto).
   
     Famoso era all’epoca il modo di dire: “Ruppi ’u catusu” “Rumpişti ’u catusu”  (trad. Ha rotto il catuso!" Hai rotto il catuso) che si esclamava  quando una persona rompeva i delicati equilibri di una discussione affermando assurdità o anche arrabbiandosi. 

     Rompere il canŧŕu-catusu di ceramica di Caltagirone era possibile, e quando ciò accadeva era una sventura, in specie se era pieno. Proprio per questo, a Ragusa era abitudine usare secchi di latta  in luogo del canŧŕu-catusu di argilla cotta.  

     Il catuso-cantro - si è detto - era parte dell'arredo casalingo, tenuto in uno stanzino adibito alla bisogna nelle case dei ricchi, e comunque non in vista  negli abituri della povera gente. Ma, di necessità, doveva essere svuotato fuori, e questo avveniva in tanti modi. Se l'abitazione era vicina al mare, le donne di casa svuotavano tutto fra gli scogli, generalmente a ora tarda, di sera. Se le case erano nelle vicinanze di una campagna, il problema era ridotto. Se la casa era dentro l'abitato,  si utilizzavano gabinetti pubblici dislocati in varie parti del paese. Il lavoro poteva essere fatto anche dalla bambina più giudiziosa della famiglia che, di solito all'imbrunire, veniva incaricata dalla madre di attendere al delicato transfer. La bambina poi, se grandicella, poteva essere accompagnata dai bambini con cui stava giocando e che per questo sospendevano il gioco. 

     Lo scrittore Maltese, modicano della prima metà del Novecento, descrive un pozzo realizzato dal Comune ai bordi della città, dove le donne andavano quotidianamente a svuotare il catuso. Il problema serio sorgeva quando il pozzo si riempiva, l'Amministrazione comunale non provvedeva a svuotare e il materiale versato fuoriusciva fuori.   



Sistema primitivo di fognatura mobile.
Il contenuto svuotato nel carro
è quanto veniva raccolto veniva raccolto 
nel "Catuso-Cantro" durante la giornata. 


[1] Ogni giorno, di nascosto, vado nell’orto: lascio lì il punteruolo (cavicchio, piòlo o punteruolo è lo stronzo) ma il buco lo riporto.

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