2012/08/31

Il mare, ieri e oggi


Il mare, per i Greci, e per noi

di Gino Carbonaro


Il mare! E’ come il cibo. Bisogna amarlo e temerlo. 
Il mare è elemento che vive. E’ come gli uomini. 
Un giorno è sereno, calmo, benefico. 
Altro giorno lo ritrovi  capriccioso e violento, cupo, 
tenebroso, vendi-cattivo. Pericoloso, anche. 
Perché può mettere a rischio la nostra stessa vita.

I Greci, marinai e navigatori, consideravano il mare
fonte di energia gestita da una potente divinità. 
Dio del mare era, nella loro mitologia, Poseidon, 
la cui reggia ponevano nelle profondità marine, 
dove luce filtrata dalle acque faceva brillare madrepore e coralli nel mistero verde-azzurro 
dei fondali marini.  

Di tanto in tanto emergeva, Pòseidon-Nettuno, tridente in mano, terribile sul carro trainato da focosi cavalli, che sollevavano spruzzi di schiuma sulla superficie del mare. Era accompagnato, il dio, dall’intera sua corte. Delfini che intrecciavano danze intorno al carro costituito da enormi conchiglie, tritoni marini, bellissime Nereidi oceanine.  

Emergeva sovente, Poseidone, per controllare che il dio Eolo non approfittasse della sua assenza per mettere a soqquadro la superficie del mare. Nel qual caso era guerra terribile. Tempesta! Risultato di un conflitto fra divinità. E tutto aveva termine solo quando Eolo veniva allontanato dolorante e mugghiante nei suoi domìni posti tuttora nei dintorni delle isole Eolie.

Nei momenti di tempesta marina, guai ai marinai sorpresi in mare. Nessuna nave del tempo poteva resistere alle crudeli sferzate delle onde. Ed era inutile per gli umani affidare l’anima a qualche divinità. Il fondo del mare avrebbe accolto uomini e cose. Per questo, i Greci temevano il mare e il suo dio.

La storia racconta di un ricco mercante ateniese, che di necessità avrebbe dovuto imbarcarsi per raggiungere Siracusa. Consapevole dei rischi che comportava l’andar per mare, prima di partire pensò bene di scendere al Pireo per chiedere informazioni, capire come comportarsi. Al porto, la scena era quella di sempre. Navi agli ormeggi. Navi tirate sulla spiaggia. Marinai che riparavano reti da pesca. Il mercante chiese a un passante: “Buon uomo, sapresti dirmi quali sono le navi più sicure? Quelle da guerra? Quelle mercantili?” La risposta subitanea fu: “Quelle tirate a secco, Signore”. Forse, aveva ragione.

Il mare presentava rischi nell’antichità. Tanto è dimostrato dal fatto che degli oltre quattromila epigrammi raccolti nella “Antologia Palatina”, un intero libro, il VII, contiene epigrammi funebri, quasi tutti dedicati a quanti erano periti in un naufragio. Gli epigrammi, poi lapidi funerarie, sono bellissimi. Ne citiamo qualcuno. 

“Forza e vortice di un uragano 
provocato da Euro, 
e le onde ancora e la notte 
quando si fa buio al tramonto di Orion, 
mi uccisero. Scivolai dalla vita. 
Io, Callaiscro, mentre navigavo nel mare di Libia. 
Sono scomparso nel gorgo delle acque. 
Ora sono preda dei pesci. 
Questa pietra non mi ricopre. Inganna”. (VII - 273) 

E quest’altro ancora: 

Mare dal cupo rumore, 
perché hai rovesciato nel fondo Teleutagora, 
che navigava su una navicella 
con il suo povero carico? 
Perché hai scagliato su di lui 
le tue onde ingiuste? 
Dovunque sia, ora è pianto 
privo di vita su qualche spiaggia 
di aironi, e gabbiani divoratori di pesci” (VII - 652)

Il rapporto con il mare per i Greci è stato sempre di odio-amore. Da una parte veniva temuto, il mare, dall’altra si restava incantati di fronte alla sua bellezza, al suo fascino immenso. Colori, ossigeno, luminosità, preziosità marine. Il mare è stato da sempre fonte di vita. Per questo, fu proprio nel mare che i Greci posero la nascita di Afrodite, dea della bellezza, della sessualità e dell’amore. Afrodite-Venere, sorriso della Terra e della Vita. Figlia del mare e del cielo. Nata dalla spuma galleggiante del mare.

In un mattino di primavera, fra alba e aurora, argento e oro, una donna di meravigliosa bellezza emerse stillante dalle acque marine. Nessuno aveva mai visto una creatura simile. La sosteneva una conchiglia iridata di alabastro. La brezza marina faceva ondeggiare i suoi biondi capelli e i veli, che avvolgevano delicatamente il suo corpo nudo. Proprio così la fissa Sandro Botticelli nel suo quadro immortale, “La nascita di Venere” (1485). Così la rievoca poeticamente Ugo Foscolo nelle “Grazie”.

E oggi? Il rapporto con il mare è sostanzialmente positivo. Tutti amiamo viaggiar per mare. Lo dice il successo delle crociere. D’estate, poi, le spiagge pullulano di una umanità distratta che aspira a godere i benefici influssi del sole, alla serenità e al benessere. Il richiamo alla divinità greca, al sesso, alla bellezza non è tramontato, soprattutto quando un bell’esemplare di giovane donna emerge dalle acque fresche del mare avviandosi verso la spiaggia. La sua pelle è dorata, profumata di salsedine dopo aver celebrato il rito della immersione, della rinascita, del ritorno alla vita. 
Gli sguardi sono solo per lei, novella Afrodite, 
donna quasi nuda in bikini o topless dalla bellezza avvenente, fascinatrice e ammaliante. 

Ora, attendiamo con ansia che la moda possa proporre costumi realizzati con velo, delicato e trasparente, perché la natura tutta della donna, possa con “les nudites” e con la poesia del suo corpo offrirsi alla vista, lei, novella Afrodite, al godimento dei sensi, alla gioia degli occhi e dello spirito. Di tutti. 
Questo ci dà la spiaggia. D’estate.


                                                                      Gino Carbonaro

gino.carbonaro.italy@gmail.com

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