2012/05/15

CHIE SATO PIANIST, Zen e musica moderna giapponese


CHIE SATO RODEN

Zen e Musica Moderna Giapponese

                                                                     di  Gino Carbonaro 

Abbiamo conosciuto Chie Sato Roden a Ragusa, quando, giungendo dagli Stati Uniti, si presentò sul palcoscenico del piccolo Teatro Falcone-Borsellino. Partecipava al Concorso Internazionale Ibla Grand Prize davanti a una giuria composta da venticinque membri provenienti da tutte le parti del mondo.

Non mancammo di notare il suo costume giapponese e il grazioso andamento della concertista, che prese delicatamente posizione davanti allo Yamaha. Poi il silenzio calò nella sala.

Le prime note ci colsero di sorpresa. Erano suoni sospesi, isolati, intensi, ricchi di echi profondi, suoni che sembravano arrivare da lontano per vivere nell’istante e perdersi inghiottiti dalla immensità del silenzio.

L’impressione era che protagonisti fossero dei suoni puri che sembravano emergere da una aurora del mondo; in virtù di un preciso intervento della concertista, venivano alla luce illuminando l’oscurità.

Un solo suono vibrato, o un grappolo di note, erano un tutto completo, definito, come una singola unitaria pennellata di un ideogramma giapponese che riesce a far vibrare il foglio di carta.

 Fu subito chiaro che per Chie Sato il suono era vita, incanto, magia, poesia; una sola nota conteneva il tutto della musica, così come l’Universo che contiene se stesso in ogni singola parte.  

Si coglievano in ampiezza, profondità e bellezza quei suoni che sembravano modulare il respiro del vento; suoni che erano anima del mondo, pnéuma (πνέυμα) avrebbero detto i Greci. Ed era musica che raggiungeva l’animo dell’ascoltatore e lo faceva vibrare.

Nella interpretazione di Chie venivano scandagliati spazi sconosciuti dello spirito, veniva colta l’essenza della musica.

Musica dove il silenzio definisce la nota, così come nella filosofia taoista il vuoto definisce il pieno. 

Chie Sato, esprime l’essenza dell’animo giapponese, proteso alla ricerca dello Zen.

Lo Zen è presente in tutte le forme della cultura giapponese: arte dei fiori (Ikebana), architettura dei giardini (Shibumi), Teatro (Kabuki e No), danza, pittura, scrittura, cerimonia del Tè, tiro con l’arco, insegnamento, e si coglie anche e soprattutto nella musica oltre che nella religione.
    
Zen è, per i giapponesi, l’Essenza dell’Universo e delle cose in esso contenute. Zen è vita, luce, suono e in una parola armonia, con il quale la concertista, nel suo rapportarsi con il suono, cerca di entrare in contatto con l’anima dell’Universo.

Rubando un concetto a Platone, si ha l’impressione che Chie Sato sia in contatto con un mondo iperuraneo, là dove tutto è pace e silenzio, ma è anche il luogo dove si custodiscono i suoni, meraviglia della natura ed essenza dell’Universo.

In una sala incantata dalla magica interpretazione di Chie, la pianista giapponese accende di vita le note: note vibrate, note rubate, che sembrano apparire dal nulla, e ora corrono, ora fuggono, a volte si inseguono, si sovrappongono, si dissolvono, per riapparire improvvisamente dolci, ammalianti, sempre capaci di cogliere ed esprimere quel mondo dal quale provengono: il fondo dell’animo, che è anche il cuore dell’Universo.

È  così che Chie Sato ci introduce nel misterioso regno dei suoni, e per mezzo di quella musica moderna giapponese si fa ambasciatrice di una cultura che non deve nulla a nessuno, anche se in quei compositori c’è una forma di velato rispetto e ammirazione per Debussy, per i suoi Nocturnes, per La Mer o Images, per il Prélude à l’après-midi d’un faune  e per il simbolismo musicale europeo di fine Ottocento, che pure cercò di cogliere l’essenza delle cose, i messaggi che l’uomo sentiva provenire da mondi e tempi lontani e spazi mitici.

Questo è oggi il senso della musica giapponese moderna di Shigenobu Nakamura, del quale Chie Sato interpreta White; di Junko Mori con la sua Imagery; o Motohiko Adachi nel suo Per pianoforte;  e Toshiya Sukegawa in Landscape; e ancora Yoko Kurimoto nel suo splendido Windows.   

Quella sera, capimmo che  per merito di questa grande interprete, la musica giapponese  aveva ritrovato la propria identità musicale moderna. 
   
Alla fine del concerto, giuria e pubblico del piccolo teatro di Ibla, entusiasta, alzato all’impiedi, applaudì lungamente Chie Sato. Tutti le eravamo grati per aver compreso quanto sia importante la musica moderna giapponese. La maggioranza di noi aveva capito chi avrebbe vinto quell’anno il primo premio dell’Ibla Grand Prize. 

                                         Gino Carbonaro