2013/07/18

Storielle - Topolini di campagna







Topolini di campagna 
e miei ricordi da bambino


                                di Gino Carbonaro



Ieri sera sono uscito con la Panda. Al cancello mi fermo. Scendo (dalla macchina) per aprire. Mi giro. E ho l’impressione che qualcosa sì era mosso sul davanti della macchina vicino ai fari. Torno a guardare e vedo da sotto il cofano affacciarsi un topolino che subito, vedendomi, sì ritira per nascondersi. Insomma, ho capito subito che qui in campagna con noi, ci sono dei vicini di casa a cui piace l'interno della nostra vecchia macchina. Soprattutto la parte del motore. Splendida “location” come parco-giochi per i piccoli.


Confesso. Mi sono irrigidito. Sono ritornato in macchina. Partito a razzo nella speranza di farlo saltare fuori dal motore dove si era annidato, e comunque di spaventarlo. Ma, a prendere lo spavento sono stato io, perché subito dopo sul cruscotto si è accesa una grande spia rossa. Non c'era acqua nel radiatore. Mi fermo, apro il cofano, scruto, cerco, rimuovo e noto due forellini piccoli piccoli, deliziosi, nel tubo di gomma del radiatore, dal quale fuoruscivano le ultime gocce di liquido. Ho capito subito. E, mi sono rassicurato. Nulla di preoccupante. Il topolino aveva sete. Si era dissetato. E questo era sostanzialmente giusto.


Però, di necessità, sono dovuto tornare a casa. D’urgenza.


Ma, riflettendo a mente serena, prendevo coscienza del fatto che io ho sempre amato i topolini. Sin da piccolo, da quando mi piaceva acchiapparli a  mani nude, per poi afferrarli per la coda con le mie piccole dita facendoli penzolare, mentre loro terrorizzati si sbatacchiavano con caparbietà nel tentativo (vano o possibile) di liberarsi. Ma questo durava solo qualche minuto. Poi si stancavano e si  sottomettevano alla mia volontà. E io ero fiero del mio potere, di questo quasi esclusivo rapporto con i topi, perché, subito dopo pensavo di fare il giro del vicinato. La prima vittima era Donna Imperia la lavandaia.  Bussavo alla porta.  Donna Imperia si affacciava, e con un repentino rapporto di causa ed effetto, gridando mi sbatteva con uno scatto la porta in faccia.


Ed era bello osservare il viso della buona donna. Prima un sorriso (quando apriva la porta). Subito ammutoliva. Quindi, abbassando gli occhi, notava il topolino, e mentre il viso si trasformava in una maschera di terrore, mi sbatteva la porta sulla mia faccia strillando. E io, dapprima immobile, poi con un sorriso sornione sui miei occhietti socchiusi, decidevo di scappare all’impazzata, correndo e saltando per la gioia. La gioia di un piccolo potente sadico.  


Poi rallentavo, mi ricomponevo, mi concentravo e tornavo alla carica facendo il giro del vicinato, mostrando il mio reperto alle donne che incontravo per strada, le quali sconcertate squittivano e orripilanti si allontanavano cambiando marciapiede. A poco a poco, però, non ero più solo. Gli altri ragazzi del vicinato si accodavano per sostenere la mia  impresa e fare numero accanto a me che, invisibile, mi sentivo una corona di re sulla testa.


Per caso, avevo scoperto una sorta di feticcio esorcizzante. Un topolino che,  sempre tenuto saldamente per la coda, io nascondevo astutamente dietro le spalle, per mostrarlo, di botto, alla zia Turina, quella che si sarebbe spaventata di più. La zia Turina apriva la vetrina dove noi bussavamo, dava uno sguardo alla marmaglia, intercettava il topo che io le mettevo sotto il naso, e subito  emetteva uno strillo, lanciato nell’aria e che la eco rimandava indietro per mescolarlo con altri strilli. "Chi schifìu. U surci! U surci! Leviti ri ccà! Vattinni! Vativinni. Scialaratu! Scialarati”. Era veramente spaventata. ma era un gioco di bambini. Avrebbe dovuto capire.


A quella reazione, prima di fuggire insieme al branco che si era formato e che mi seguiva, centellinavo il piacere del mio sadismo. Del mio coraggio. Del mio potente dominio sui topi e di riflesso sui miei compagni di gioco, quindi sulle nostre vittime che si terrorizzavano. Ma ero consapevole del fatto che il potere discendeva proprio da quel topolino. Dunque. Potere indotto.


Per questo, mi avevano appioppato un nomignolo, un  nick-name. Io ero per tutti, il “Ginu, u surciddu”.


Da allora mi è rimasta la sana passione per i topi. Questo quasi paterno bisogno protettivo per questa categoria di animali che altri non comprendono. Comunque, c’è chi ama i gatti. Chi ama gli uccellini, i cani, i serpenti. “Ognuno ha i suoi gusti prediletti”. E a me?

A me dei topi piace la loro discrezione, la loro riservatezza, il modo delizioso di squittire, l’eleganza rettilinea nel correre. E poi quei dentini che rosicchiano con delicatezza tutto quello che incontrano.. il modo ingegnoso con cui ricavano una tana facendo un buco tanto-quanto anche fra le pietre. E le sculture. Proprio sculture che realizzano con i legni rosicchiati. Ma, infine, va detto, a me piace soprattutto  il loro odore. Non è fragranza di “Chanel n. 5”, ma autentico profumo naturale di orina. Certamente acre, ma sicuramente sano. Odore, diciamo, con cui viene deodorato l’ambiente. Ed è, riconosciamolo, vanità di questi animali, far uso di profumi naturali.  


Ora, mi chiedo? Che fare con questo topolino che è nel motore della mia macchina? Lo prendo? Lo porto in casa? Lo adotto o lo inghiotto? o prima lo cucino, lessato o arrostito: un toast del mattino?


Gino Carbonaro

gino.carbonaro.italy@gmail.com

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