2013/01/12

Orazio Busacca, un Agricoltore vittoriese dell'Ottocento



   Orazio Busacca


L'Ottocento, la città di Vittoria, l'Agricoltura
                                                                                                                     
                                           
     di Gino Carbonaro


      E’ opera originale, questa di Orazio Busacca. Opera che sta a mezzo fra il diario, il documento storico e l’opera didascalica. La forma è quella del diario.

      Fra il 1854 e il 1896, anno più anno meno, un piccolo proprietario terriero vittoriese decide di appuntare alcuni eventi salienti relativi all’andamento delle stagioni, all’abbondanza del raccolto, non trascurando i fatti politici che sembravano ripercuotersi sulla economia locale. 

     Dalle prime pagine, però, si rilevano le intenzioni dell’Autore.

      Busacca cerca di capire cos'è che danneggia un raccolto, e cosa bisogna fare per difendersi dall’attacco di tutto ciò che reca male alla produzione, che, in definitiva, rappresenta la ricchezza della società. Il principio è nella sostanza lo stesso che era stato a suo tempo intuito dai fisiocrati: la vera ricchezza delle nazioni deriva dalla campagna. Più si cura la campagna, più si potenzia la produzione, maggiore sarà la ricchezza del singolo e della collettività.
                                            

                                                                Uva bianca
      
     Ma chi poteva dire all’agricoltore dell’Ottocento non ancora soccorso dalla ricerca agraria scientifica come comportarsi di fronte alle brinate che provocavano la cascola; cosa fare di fronte alle gelate, alle piogge fuori stagione; ma soprattutto chi poteva difenderlo dalla fillossera, dalla peronospora e dall’oidio, calamità che distruggevano il raccolto causando crisi economiche e fame tra la povera gente?

      Per l’agricoltore siciliano dell’Ottocento l’unico libro al quale poter attingere era ancora il grande libro della Natura, che Busacca leggeva quotidianamente per cercare di capire come comportarsi per parare i colpi che la realtà infliggeva quotidianamente alle piante, e, di riflesso all’uomo.

      Lettura attenta della realtà, per accumulare esperienza. Esperienza che è ricchezza e non va perduta, anzi va conservata e  trasmessa agli altri, e soprattutto agli eredi, alle nuove generazioni, così come i genitori non mancavano mai di fare con i figli.

      Nasce così il libro didascalico che potrebbe essere definito “Il libro della vite”, o anche “Storia delle malattie della vite e di tutto ciò che può mettere in crisi il raccolto dell’uva”.

      Libro di insegnamenti e di esperienze, ma anche documento storico che ci illumina sulla vita vissuta a Vittoria nella seconda metà del secolo scorso.

      Orazio Busacca sostentava la sua famiglia e si guadagnava una certa considerazione sociale ricavando il tutto da una piccola proprietà terriera avuta in eredità dal padre e coltivata a vigneto.
      Attentissimo coltivatore diretto, antesignano dei tanti piccoli agricoltori che ancor oggi rappresentano la parte attiva e dinamica della economia vittoriese, Orazio Busacca, con l’eredità aveva ricevuto dal padre quelle nozioni necessarie per portare avanti la piccola azienda familiare: insegnamenti spesso basati sulla superstizione che ad Orazio Busacca dovettero, però, sembrare inadeguati.
  
    La sua ricerca trova una giustificazione in una legge economica: ogni operatore agricolo controllando tutti i passaggi della pianta, dalla infiorescenza alla fruttificazione, deve pervenire ad un raccolto pieno ed abbondante. Senza  questa possibilità la sopravvivenza stessa dell’uomo economico è a rischio.

      Nasce da qui l’esigenza di inventariare gli eventi salienti, di appuntarli, perché possano essere poi confrontati, per passare poi, dal possibile confronto alla valutazione che forma il bagaglio dell’esperienza.

      Forse, Orazio Busacca pensava a se stesso quando prendeva appunti, forse pensava agli eredi a cui trasmettere le esperienze fatte da chi della terra e della agricoltura aveva fatto la sua ragione di vivere.

      Da piccolo agricoltore illetterato, Busacca veniva perciò a capo di altre verità: prima fra tutte che la ricchezza della agricoltura e le annate con i buoni raccolti rappresentano ben poco senza la forza della esportazione. Il piccolo produttore di vino è soffocato se la sua merce non può essere esportata nei mercati stranieri, in Francia, per esempio, così come era accaduto verso la fine del secolo in seguito ad una infausta legge protezionistica e ad una non meno infausta guerra doganale.

      Da questa osservazione, Orazio Busacca scoprirà i vantaggi del liberalismo economico, mentre si rende conto che gli eventi della provincia, nel loro piccolo, risentono pesantemente gli effetti della grande politica nazionale.

      Dalla esperienza vissuta, Busacca comprenderà ancora, che poco può realizzare l’imprenditore, se non ci sono strade per trasportare il prodotto al porto, e se non ci sono infrastrutture per fare attraccare i bastimenti nel porto di Scoglitti. Dalla presa di coscienza alla iniziativa privata il passo è breve, perché una cooperativa di imprenditori agricoli vittoriesi sostituendosi allo Stato, si autotasserà  per fornire Scoglitti  delle indispensabili infrastrutture.

      Un affresco, dunque, diventa questo diario nel quale un individuo privo di velleità letterarie lascia un documento che si rivela anche uno spaccato di vita in una città siciliana nella seconda metà dell’Ottocento.

     Nell’opera trovi spesso lo sguardo rivolto alla sofferenza di tutti, delle piante, degli uomini, della società, nella consapevole certezza che il benessere delle piante si tramuta in benessere di tutti.

      Scrupolo, attenzione, dedizione, onestà, tutto rivolto alla decifrazione di una realtà molto spesso infida e capricciosa.

      Una pagina di storia? Sì, anche, e soprattutto, storia locale, che prende le distanze dalla storia ufficiale, solitamente non disposta alla considerazione di eventi minimi e minori che però riflettono la vita in tutta la sua freschezza e palpitante realtà.

      Elogi? Mi chiedo quali scuole insegnano a scrivere in modo così fresco, immediato, essenziale.
      
        In ogni caso è un lavoro che va salvato!

                                                   Gino Carbonaro

gino.carbonaro.italy@gmail.com