2015/02/14

TEATRO DONNAFUGATA IBLA Elogio al dr TITI' SCUCCES

Ragusa Ibla

Teatro Donnafugata


Elogio al dr Titì Scucces 

 Email inviata 
al Maestro Giovanni Cultrera di Montesano Direttore artistico del Teatro Donnafugata

                                               Gino Carbonaro

Nel mese di marzo del 2014 ho assistito al concerto della "Chroma Ensemble" in Tanguedia, con musiche di Astor Piazzolla.   In quella occasione, in quel concerto che mi era tanto piaciuto, felice del fatto che in questa Provincia di Ragusa fosse stato raggiunto in pochi decenni un simile livello musicale,  inviai al Maestro Cultrera una email 
in cui facevo delle considerazioni sulla funzione del Teatro Donnafugata in quanto volano della cultura musicale 
di questa Provincia.


Nanni carissimo,


Anch'io sono contento per te, per Voi, per tutti noi,
per quello che da qualche anno si sta realizzando
in questo piccolo/grande “Teatro Donnafugata” di Ibla.


Teatro che è diventato il fiore all'occhiello della nostra Provincia, così come tu sei diventato (a tua insaputa) 
la ciliegina sulla torta dell'avv. Titì Scucces,
promoter culturale che fra le tante sue intuizioni 
ha avuto tempo fa anche quella di rivolgersi a te 
per gestire il "suo" Teatro.


E dico "suo" (di lui) perché quando era appena terminato 
il restauro e la ristrutturazione, 
quando invitò mia moglie e me a visitare il Teatro,  
e, fra le altre storie ebbe a strappare dal palcoscenico 
il famoso pezzo di carta per far notare 
l'acustica “perfetta” del Teatro.
Proprio allora capii che per il nostro professore, 
quella struttura rappresentava tante cose. 
Storia di un passato che rivive in lui,
amore per la musica che è dentro di lui,
desiderio/bisogno di realizzare qualcosa
per realizzare se stesso,
e soprattutto Teatro come mezzo
per raggiungere un obiettivo,
realizzare una sua non confessata missione:
quella di portare avanti la cultura che lega passato
al presente e presente al futuro.
Presente (quello che viviamo)
che indica un percorso  
mentre consegna le nostre realizzazioni
alle generazioni future.

Teatro, quello dell’avvocato Scucces
che (Lui)  considera un binario 
dove far viaggiare musica, arte, cultura
che sono gli ingredienti nobili che formano la civiltà.


Ora, il professore Titì Scucces e
il Barone di Donnafugata (u patruni u luocu) genius loci,
(la cui ombra, vigila e protegge il tutto)
si sono fatti carico di un compito.   
Quello di offrire alla cittadinanza tutta,
un modello di vita diversa, dove cultura, passione e impegno
si sposano allo scopo unico di
realizzare un valore ineguagliabile.
Quello della musica. 
Valore che si realizza
mettendo a disposizione della collettività e dei musicisti  
uno spazio-tempo privilegiato 
all'interno del Teatro Donnafugata,
dove, come in un Tempio laico,
si realizza la grande comunione delle anime,
l’unione spirituale fra compositori, interpreti, ascoltatori
e.. titolare del Teatro,
che grazie alla musica, al bel canto e all’arte,
vivono momenti di estasi
che “solo la musica” sa dare.

Aggiungo ancora? Che mia moglie ed io siamo attenti 
a non perdere un appuntamento musicale 
al Teatro Donnafugata
per il piacere di godere
il conforto spirituale di questo 

gioiello, bijoux, Teatro,

che esiste soprattutto per merito del nostro comune amico,
il professore (Farmer, gentleman) Titì Scucces.
Che Dio lo protegga!

Gino Carbonaro

2015/02/10

ITALO, un film di Alessia Scarso



Italo Barocco

Storia di un cane, di un paese 
e di tanti uomini

Italo era un cane senza padrone, che solitamente lo si vedeva gironzolare fra Piazza Municipio e la via Mormino Penna di Scicli. All'inizio nessuno si era accorto di lui, poi qualcuno notò che il cane (bih! talìa) entrava in Chiesa all'ora della messa, e prendeva anche parte ai funerali e ai matrimoni. In breve tempo, dacché non era di nessuno, diventò il cane di tutti, e ci fu chi gli preparò un canile proprio in piazza a lato del Municipio. Inutile dire che non gli mancò neppure da mangiare. Diventò così la mascotte della città, e alla sua morte, che addolorò tutta la cittadina di Scicli, quelli del Caffè Letterario "V. Brancati" pensarono bene di organizzare una mostra di pittura con artisti di tutta la provincia, che esposero quadri il cui soggetto era il cane che era di tutti, e che era stato battezzato "Italo". La giovane regista Alessia Scarso, pensò di cimentarsi con un film dedicato a "Italo", il cane che era di tutti. Io ho visto due volte il film. Ho scritto le mie impressioni che riporto qui appresso.
                                     
                                                            La cuccia di Italo

Affermo che il film “Italo” con la regìa di Alessia Scarso
è un capolavoro per tanti motivi: per la bellezza del racconto semplice, delicato e coinvolgente, per la fotografia, serena ma sempre attenta e potente; per gli attori, tutti bravissimi (bambini compresi e cane), per la musica “meravigliosa” e funzionale (come poche volte notato in altri film), e soprattutto per la regia che serve allo spettatore avvertito per valutare non solo la professionalità, ma anche la personalità,  la intelligenza e lo spessore artistico e culturale di una regista che ha tantissimo da dire (e da dare) e che riesce a gestire tutto: il generale e il particolare del film, fino ai più piccoli dettagli.


Ma, andiamo con ordine, tenendo presente  che le chiavi di lettura del film sono molteplici.  


La trama? E’ una favola, leggera,  chiara, bilanciata, sostenuta da quella intelligenza attenta, accurata, sensibile che riesce a trasmettere emozioni. Chi assiste alla proiezione non si trova davanti solo alla storia di un cane, ma anche alla storia del rapporto che uomini (e donne) di un paese chiamato Scicli (sorta di “Macondo” siciliano) hanno con un cane che dapprima vogliono eliminare, proprio perché randagio, ma che poi accettano come creatura vivente che ha sensibilità e dolcezza non dissimile da quella che caratterizzano gli umani (quando gli umani non sono essi stessi animali).


Sotto questo profilo il film sottende qualche considerazione di carattere filosofico invitandoci a considerare il senso del nostro esistere, delle nostre azioni, delle nostre mutevoli considerazioni, così pure il nostro rapporto con gli altri esseri viventi (quelli che noi definiamo animali) che come noi conoscono la solitudine, la sofferenza, la mancanza di affetti, e ancora, il concetto di vita e di morte. Ed esprime (la trama) il concetto di amore, e il rapporto che i bambini hanno con gli animali.  Il tutto raccontato,  senza retorica alcuna, né proponimenti pedagogici.


Eppure, la filosofia emerge all’interno di un “divertissement” che fonde la parodia con il sorriso, la commozione con la emozione, il riso con il pianto, e la forma teatrale che recupera il mimo con il linguaggio cinematografico.      


Soggetto e trama, dunque, non classificabili perché si passa da un realismo delicato, appena suggerito, ma sublimato con discrezione, a forme , si è detto, di parodia gioiosa, cui si aggiungono soluzioni geniali, come i dialoghi-muti fra il protagonista sindaco Carmelo Blanco e la dolce maestra Laura, e ancora i dialoghi/gossip alla Ionesco della Cantatrice Calva, della “gente” di paese, che parla bla-bla, mentre lo spettatore, senza udire parola alcuna, intuisce il senso di quei discorsi e gode di quelle conversazioni da lui immaginate.


Questi momenti, durante i quali la regia ha ritenuto di spegnere l’audio, sono impagabili, e sono proprio quelle pause di  silenzio che recuperano il mimo cinematografico, per me nuovo, che richiamano alla mente i film del primissimo surrealismo francese, evidenti nelle persone che in gruppo corrono al “rallentatore” all'inseguimento-ricerca del cane e delle tre donne che si recano in chiesa con passo lento, paludato, e ancora in altri passaggi del film. E sono forme di linguaggio nuovo, fresco e importantissimo. E mi riferisco alla utilizzazione di questi momenti linguisticamente “diversi” inseriti nel contesto, senza stridore, proprio perché fanno parte della logica di un racconto che chiama in causa, come ho già detto, anche la parodia.

 

E qui mi viene in mente il bellissimo comizio elettorale che viene interpretato sulla piazza da Carmelo Blanco e da una  “sempre” stupenda "Luisa Nigro".  


Ora torniamo alla fotografia dove si rileva l’uso pressoché costante del teleobiettivo e di telecamere in movimento che nella logica della regia servono per allontanare paesaggi e personaggi non soltanto nello spazio, ma anche nel tempo per catturare una realtà che spesso sfuma nel sogno e nell’immaginario.


Bella ancora l’apparizione della cinquecento Fiat che investirà Italo e scende lenta e terribile in quella stradina che si apre davanti alla chiesa di San Giovanni. Bellissimo l’intervento dei mascheroni per comunicare la tragedia.


E ora, passiamo alla musica. Un gioiello. E non mi riferisco solo alla bellezza della composizione, sviluppata su più “movimenti” a volte marcetta gioiosa a volte tragica, ma anche alla sua utilizzazione che sostiene il racconto in modo incredibilmente funzionale ai vari momenti, con accelerazioni, rallentamenti, ritardi e pause di silenzio. Ed è elemento (quella musica) che contribuisce a trasmettere quelle emozioni che sono il pregio di questo lavoro.      


Va sottolineato ancora che il film è una novità sul mercato. E’ film che avrebbe potuto interessare Walt Disney, e che richiama alla memoria lo storico “Marcellino, pane e vino”, o anche i film di “Don Camillo e Peppone” o “Torna a casa Lassy”. E, perché no, il “Nuovo cinema Paradiso”.  Film puliti, per grandi e per piccini, che per lo spettatore sono una lezione su come si possano trascorrere due ore ripulendo lo spirito da quanto oggi ci viene propinato da raccapriccianti film di  violenza e di oscena pornografia.  


Un elogio a parte per la chiusura del film. Ho apprezzato molto che  fra i due potenziali fidanzati non ci fosse stato “il” bacio, che non pochi sceneggiatori e registi avrebbero inserito. Bellissima quella mano che “Meno il Sindaco” pone alla fine sulla spalla di "Laura la Maestra", mentre lo spettatore scorge la testa del bambino fra il padre e la futura nuova madre-amica.


Un elogio a tutti coloro che hanno gestito il cane che, certamente ha capito di essere un protagonista circondato da affetto da tutti coloro che gli stavano vicino.


Altre sorprese finali? Il film chiude con il nome del cane "Italo" (senza la tradizionale parole “Fine”) e commovente la meritata dedica a Nisveta Kurtagic, architetto, pittrice e donna di eccezionale valore, amica mia, fra l'altro, che non è più fra noi.


Ora mi accorgo di non aver parlato di Italo. Ma solo perché in questo film gli elementi tematici sono tanti. Attorno al cane, attore bravissimo, ruota una piccola storia politica, e ancora la dinamica classica delle bande di tutti i ragazzi, la storia di un bambino che ha perduto la madre, il rapporto di amicizia fra Meno e la sua amichetta, il bla-bla delle persone, insomma, uno spaccato composito di una bella cittadina con le sue campagne, il suo mare, i suoi colori, il profumo della terra che la circonda. E va detto ancora che il fiore all’occhiello del film è rappresentato da Natalino (?), lo sciocco del paese, l’uomo che apre il racconto, che attende alla stazione un treno (la madre?) che viene da lontano e non arriva mai. Attesa di affetti desiderati senza i quali l’uomo non può vivere.   


Considerazioni finali. Secondo me, il film è talmente bello che potrebbe fare il giro del mondo. Certamente, Maria Teresa Spanò vi porterà la nipotina Ilaria. E mi chiedo cosa ne penserebbero i Giapponesi, sempre sensibili a queste storie fondate su verità ideali che tutti desidererebbero vivere.
 
Ritengo infine che nella nostra Contea è fiorito qualcosa di nuovo: Alessia Scarso, regista-creativa, che come i grandi artisti del recente passato: Raffaele Poidomani, Carmelo Assenza, Ciccio Belgiorno, Gesualdo Bufalino e altri ancora, scultori come Nunzio Dipasquale, pittori contemporanei come Piero Guccione, Sonia Alvarez, Franco Cilia e tanti altri, si è rivelata astro nascente nel firmamento del cinema italiano.

Dunque? E' logico andare a vedere il film che, al Cineplex di Ragusa continua ad essere proiettato da quattro settimane e ora è passato adesso al "Fratelli Lumière".



Postilla. Io sono nato in Via Mormino Penna n. 48 (la scaletta vicina alla chiesa di Santa Teresa). In quella strada c'è parte la mia vita. Ma quanto ho scritto del film non c’entra con la mia storia. C'entra solo il fatto che la strada di Italo è stata la mia strada da bambino.     

Gino Carbonaro