2015/12/28

Il Vecchio e il mare di Ernest Hemingway

Storia ridotta

Il vecchio e il mare

                                                              di Ernest Hemingway




         Questa riduzione è tratta dal romanzo “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, scrittore contemporaneo, premio Nobel  1954.

         Il romanzo narra la storia di un vecchio pescatore di nome Santiago, che abitava in un villaggio di pescatori  vicino all’Avana, nell’isola di Cuba, e tutte le mattine, al buio,  salpava sulla sua barca a vela dirigendosi al largo, nell’immenso oceano Atlantico.

    


         Da ottantaquattro giorni però Santiago non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo di nome Manolin, ma dopo quaranta giorni passati senza prendere pesci, i genitori del ragazzo avevano capito che il vecchio era sfortunato, e avevano mandato il figlio in un’altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Ma, era triste per il ragazzo veder arrivare ogni sera il vecchio con la barca vuota, perciò scendeva sempre ad aiutarlo a portare le lenze o la fiocina o la vela rattoppata con sacchi di farina.

         Il vecchio aveva insegnato a pescare al ragazzo, ed il ragazzo gli voleva bene, e avrebbe voluto perciò ritornare nella barca di Santiago, perché Manolin  aveva fiducia in lui.

         Anche il vecchio aveva fiducia in se stesso, perciò non si scoraggiava, anzi voleva dimostrare a se stesso e agli altri, che già cominciavano a compatirlo, che egli non era così sfortunato come si credeva, né tanto inabile da doversi rassegnare a tirare la barca a riva. Così, pian piano, si insinuò nella mente del vecchio una idea sola, quella di vincere.

         Una mattina, il vecchio si diresse al largo lasciandosi l’odore della terra dietro le spalle, e remò nel fresco odore dell’oceano del primo mattino. Nell’oscurità Santiago sentì giungere l’alba, e mentre remava udì il suono tremolante dei pesci volanti. Poi, prima che fosse giorno chiaro, gettò le esche e si lasciò trasportare dalla corrente. Passarono molte ore, durante le quali il vecchio ebbe la compagnia di un grande uccello che planava vicino. A un certo momento, però, la lenza a poppa si irrigidì, poi si sentì un lieve strappo, poi non si sentì nulla. “Non può essere andato via – disse il vecchio – lo sa Cristo che non può essere andato via.

         "Forse sta facendo soltanto un giro. Forse ha già abboccato una volta e se ne ricorda”. Poi sentì un lieve strappo alla lenza e fu la felicità; e sentì qualcosa di forte e di incredibilmente pesante, e la lenza cominciò a scorrergli fra le dita. Si doveva trattare di un pesce enorme. Ma ora la cosa più importante era quella di fargli mangiare l’amo ben bene, in modo da farglielo entrare nel cuore, così da ucciderlo.

         Ora il pesce proseguiva con regolarità, e procedettero lentamente sull’acqua calma. Il vecchio si sentiva rimorchiato dal pesce, ed avrebbe voluto che Manolin fosse lì.

         Quattro ore dopo il pesce stava ancora nuotando, e la terraferma era scomparsa all’orizzonte. “Non importa – pensò il vecchio – posso sempre rientrare con le luci dell’Avana”. Adesso mancavano due ore al tramonto e Santiago cominciava a sentire i crampi alla mano, e avrebbe desiderato vedere il pesce almeno un momento solo, per sapere contro che cosa avrebbe dovuto combattere. Poi venne la notte e spuntò un altro giorno, ed il pesce continuava a nuotare sempre verso oriente. Santiago guardò l’orizzonte e capì sino a che punto era solo, adesso. A un certo momento la lenza si alzò lentamente, la superficie dell’oceano si sollevò davanti alla barca, ed il pesce uscì. Uscì senza fine. E l’acqua gli ricadde sui fianchi. Era lucente nel sole e la spada era lunga ed appuntita come una alabarda. Era un pesce magnifico, ed era sicuramente mezzo metro più lungo della barca. Santiago aveva visto e preso molti pesci grossi, ma non era stato mai solo. 

            Adesso, da solo, e in pieno mare aperto, era legato al pesce più grosso che avesse mai visto e di cui avesse mai sentito parlare. Ora si sentiva molto stanco, e sapeva che presto sarebbe giunta un’altra notte; perciò si riposò per quello che gli parvero dure ore, mentre l’animale maestoso continuava a trainare la barca. Si svegliò di soprassalto. Il pesce si era fermato. Era il momento. Il vecchio preparò la fiocina e si avvicinò remando lentamente al pesce. Poi alzò l’arma più alto che poté e la lanciò con tutta la sua forza. Allora il pescespada tornò in vita e si librò alto, fuori dall’acqua, mostrando tutta la sua forza e la sua bellezza.

         Più tardi, quando tutto fu finito, tirò il pesce per metterlo affiancato alla barca, in modo da legargli la testa alla prua. Passò un’ora però, prima  che il primo pescecane l’azzannasse, e quando questi si accostò al pescespada il vecchio lo colpì con tutte le sue forze. Lo squalo lasciò la preda ed affondò inghiottendo mentre moriva, ciò che aveva rubato. Aveva appena allontanato il primo pericolo quand’ecco arrivare un altro squalo il quale girò tre volte attorno alla barca, infine mise fuori il naso dall’acqua e addentò il pescespada. Il vecchio colpì lo squalo due volte nello stesso punto, ma il pescecane rimase attaccato al pesce con le mascelle chiuse; allora il vecchio lo pugnalò, girò il coltello. Lo squalo abbandonò la presa e affondò. E il vecchio disse: “Vai pure, galano, affonda per un miglio. Va a trovare il tuo amico se non era tua madre”. Poi aggiunse ad alta voce: “Devono averne preso più di un quarto, e della parte migliore”.

         Il prossimo squalo arrivò come un maiale al truogolo. Il vecchio aspettò che azzannasse il pesce e poi gli immerse a fondo nel cervello il coltello legato al remo. Ma, lo squalo fece un balzo all’indietro e la lama gli si spaccò. Ora il vecchio si mise al timone e non guardò neppure lo squalo che affondava.

         “Ormai hanno vinto loro, - pensò – sono troppo vecchio per ucciderli a mazzate, ma cercherò di farlo. Combatterò sino alla fine”. Ora era rigido e indolenzito, e le ferite e tutte le parti del corpo gli facevano male nel freddo della notte.

         Verso mezzanotte giunsero in frotta, e il vecchio riuscì a vedere soltanto le linee create nell’acqua dalle pinne. Prese a mazzate le teste e udì le mascelle serrarsi e la barca scrollata mentre gli squali attaccavano da sotto. Colpì disperatamente qualcosa che si poteva soltanto udire, e sentì qualcosa impadronirsi della mazza, e la mazza scomparve. Allora strappò dal timone la sbarra e ricominciò a sferrare mazzate con tutt’e due le mani. Ma uno giunse alla testa del pescespada, ed il vecchio capì che era finita. Abbatté la sbarra sulla testa dello squalo e colpì una, due e più volte. Lo squalo infine lasciò la presa e si staccò rivoltandosi. Fu l’ultimo squalo della schiera ad avvicinarsi. Non c’era più niente da mangiare per loro.

         Il vecchio ora respirava a stento, e sentiva un sapore strano in bocca. Sputò nell’oceano e comprese di essere sconfitto ormai definitivamente e senza rimedio. Ritornò a poppa e raddrizzò la direzione. Sentì che era dentro la corrente e vide la luce dei villaggi. Capì dov’era, e che ormai era a casa. Desiderò dormire, desiderò il letto di casa sua, e pensò che solo il letto era suo amico. Quando entrò nel piccolo porto, le luci del ristorante erano spente e il vecchio sapeva che tutti erano a letto.

         Disarmò l’albero; guardò la linea nuda della colonna vertebrale del pesce, e cominciò la salita che lo portava a casa. Nella capanna appoggiò l’albero alla parete. Nel buio trovò una bottiglia di acqua e bevette un sorso. Poi si distese sul letto e dormì profondo, e sognò i leoni africani che aveva visto nella sua giovinezza.

                                                                    Ernest Hemingway

                                                        (da Il vecchio e il mare”)

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