2016/05/02

DONNA, Misoginia e Violenza, APERTURA





Gino Carbonaro

 Donna

Misoginia & Violenza



da Eva e Pandora
a Hildegard von Bingen





Descrizione: Descrizione: Բ



Thomson Editore




Apertura


     Senza il movimento di liberazione della donna non avremmo capito che esisteva un problema della donna. Noi uomini eravamo abituati a pensare che la donna doveva stare in casa per cucinare, rifare letti, lavare biancheria, fare figli e curarli, ed era quella che era obbligata a indossare il grembiule quando andava a scuola (se mai fosse andata a scuola).

     Eravamo abituati a pensare che l’uomo era più (+) e la donna era meno (-) ed eravamo convinti che agli uomini certi privilegi spettassero di diritto.

     La società corteggiava il maschio, e noi, i maschi, ci lasciavamo corteggiare, e a chi, come il sottoscritto, era nato in epoca fascista, arrivavano come musica le parole della madre che si beava ripetendo: “Io, quando sei nato tu, figlio mio, ho avuto mille lire da Mussolini, perché tu eri “’u figghiu màsculu!”  

      Nessuno si chiedeva che solo per i maschi, non per le donne, era obbligatorio il servizio di leva per 18 mesi, e se capitava, era obbligo andare in guerra, e magari conoscere la morte. Ma, accettavamo tutto, perché quelli erano i “doveri” del maschio, quella la cultura del tempo, quando i ruoli erano ben definiti: l’uomo fuori a lavorare, per portare in casa il necessario per vivere, per la moglie e i figli, che avrebbero potuto essere tanti quanti erano gli anni di matrimonio, dal momento che non erano stati ancora scoperti i contraccettivi, e la donna in casa, a tessere, filare, lavare, fare il pane, allattare, badare alla nidiata di figli che spesso si ammalavano a turno. E tutto questo, la donna era costretta a fare anche se incinta e appesantita dalle continue gravidanze che le collassavano l’utero e la facevano invecchiare anzitempo.

     Lo schema familiare “maschio in pubblico (fuori)-donna in privato (in casa)” fa parte della storia dell’umanità. Il volere della Natura che aveva assegnato alla donna il compito di riprodurre la specie, aveva nel corso dei millenni fissato ruolo e cliché da cui non era più riuscita a liberarsi.

     La percezione negativa della donna, risale anch’essa alla notte dei tempi. Basti vedere come erano considerate le donne nella Grecia classica, leggere alcuni passi del Vecchio Testamento, vedere come la Chiesa cattolica ha perseguitato la donna durante il lungo periodo dell’Inquisizione, e quale è a tutt’oggi la condizione della donna nel mondo musulmano e in alcuni stati dell’India, per capire che la storia cambia solo per restare la stessa. La dominanza, ancora oggi, è sempre del maschio. Il suo volere detta legge.

     Così, sebbene dopo il ’68 il problema della donna sia esploso in maniera eclatante, cionondimeno pare non sia ancora possibile abbassare la guardia, e molta strada dobbiamo ancora fare (gli uomini) per liberare le nostre menti da millenari pregiudizi cultural-razziali. 

     La storia della donna è stata sempre teoria di silenzi, storia senza echi che si è quasi sempre svolta all’interno di quattro mura, harem o gineceo, perimetro chiuso, di cui qualcuno, bontà sua, sosteneva che la donna era regina, con ampia libertà di muoversi a suo piacimento alla stregua delle galline ovaiole in gabbia, la cui funzione è strettamente riproduttiva.

     Donna. A cui il maschio passava del cibo. Spesso l’indispensabile per tenerla in vita. Un “do ut des”. Io ti do da mangiare, tu mi servi. Tu sarai la sovrintendente della mia casa e farai figli all’interno di questo spazio, dove starai reclusa. Conoscerai solo me come padrone e guardiano. E,“Guai a te se!..” una intimidazione. 

     In realtà, fino a meno di un secolo fa, in quasi tutto il mondo occidentale, il matrimonio di una donna si riduceva a un trasferimento da una famiglia a un’altra. Operazione di transfert, che era preceduta da una tenace contrattazione economica tra le famiglie interessate. E dopo gli accordi, finalmente, la cessione in comodato d’uso ad altro uomo, che aveva potere di vita, e spesso anche di morte, sulla donna.

     Abbiamo detto “comodato d’uso” perché, com’è scritto nel Vecchio Testamento e nel Corano, il maschio che acquista (conquista?) una donna, potrà rimandarla al precedente proprietario (al padre-padrone), quando e come vuole, comunicando la sua decisione su un foglio di carta definito “libello del ripudio”, ripetendole per tre volte di seguito: “Va’ via, va’ via, vattene!” Era una sorta di prodotto usa e getta, la donna, considerata di poco al di sopra di una schiava, che spesso era elevata al ruolo di concubina.  

     Ed è storia giunta fin quasi ai nostri giorni. Basti ricordare fra le tante donne, la poetessa Mariannina Coffa di Noto (1841-1878), ceduta (in matrimonio) a un ricco possidente ragusano. Consegnata a un uomo che lei non conosceva e che non imparerà mai ad amare. Ci è sfuggito il verbo “amare”, ma fino a poco tempo fa il lievito dell’amore come ingrediente del matrimonio era un “optional” che nessuno metteva in conto.

     In ogni caso, quella della donna resta sempre storia del suo rapporto con il maschio dominante.

     Ricca o povera che fosse la donna, si tratta sempre di storia a una sola dimensione, storia i cui tentativi di sfociare in qualcosa di un diverso-e-migliore sono votati allo scacco.

      Se ne deduce che la donna del passato non ha avuto altra storia se non quella che per lei ha scritto il maschio. Scopriremo che alla donna era proibito parlare davanti ad estranei, meno che mai parlare in pubblico, e, ancora meno, era concesso studiare per imparare a leggere e scrivere. La donna - ed era legge antica, confermata dalla autorevole voce di Paolo di Tarso - non doveva parlare, e di lei “non-si-doveva-parlare”. In ogni caso, era poco più di un oggetto vivente. E, per capire sino a che punto gli uomini sono stati a dir poco crudeli nei confronti della donna, riportiamo due episodi attribuiti a due geni del passato. Il primo riferito a Socrate (469-399 a.C.), l’altro ad Einstein (1879-1955).

     Condannato a morte, poche ore prima di bere la cicuta, Socrate seduto al centro della cella, discuteva di filosofia con alcuni dei suoi discepoli. C’era Fedone, Kritone, Antìstene, Eskine, Ktesippo, e altri ancora. Mancava Platone perché stava, così si racconta, poco bene. Socrate dissertava della vita e della morte, disquisiva sul bene e sul male, parlava dell’anima, argomenti di alta filosofia, quando all’improvviso all’interno della cella irruppe Santippe, la moglie, distrutta per il dolore. In lacrime. Aveva saputo della condanna a morte di Socrate. Avrebbe voluto abbracciarlo. Capire il perché di quella sventura. Di tanta ingiustizia. Il cuore le piangeva. Aveva cominciato a chiedere, interrompendo  la conversazione, quando Socrate, infastidito, si rivolge a una guardia protestando: “Per favore, portate via questa donna. Qui, stiamo parlando di cose importanti”. Ci chiediamo a distanza di anni, cosa era la percezione della donna per il sommo filosofo greco. E ancora, come può essere che un ricercatore della verità, uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi, possa avere trattato in questo modo la propria moglie. Certamente, l’universo culturale del tempo era diverso. Il mondo era dei maschi, e Socrate non intercettava il problema nel rapporto con la donna. 

     Il secondo episodio, più vicino a noi, è riferito ad Einstein, genio della fisica di tutti i tempi. Einstein aveva conosciuto la serba Mileva, sua futura moglie, quando aveva 21 anni. Si era certamente innamorato di lei se la sposerà nel 1904, e da lei avrà tre figli. Mileva era collega di studi di Albert, ed era la quinta donna ad essere stata “ammessa” a frequentare l’Università di Zurigo in Svizzera, quando in tutte le università dell’Impero Asburgico era proibita la iscrizione delle donne nelle scuole. Mileva, insomma, non era la Santippe di Socrate se pare abbia collaborato con il marito nella teoria della relatività ristretta. Eppure, si tramanda che sulla scrivania di Einstein sia stato trovato questo appunto..
  
Cara Mileva,

      Ti sarei grato se ti attenessi alle seguenti regole.
  
         1. I miei vestiti devono essere sempre stirati.
         2. Mi devono essere serviti tre pasti al giorno in  
             camera  mia, e desidero mangiare da solo.
         3. Sulla mia scrivania nessuno deve metterci le mani.
         4. Devi rinunciare a qualsiasi rapporto sessuale, a 
             meno  che non sia io a chiedertelo.
         5. Devi rispondere subito quando ti chiedo qualcosa.
         6. Devi lasciare subito la mia camera quando ti invito 
             ad uscire.

                              Grazie, il tuo Albert

     Non sappiamo quando è stato scritto il biglietto, né in che modo Mileva abbia reagito. Di certo nel 1914 la moglie va a vivere per conto suo. Nel 1919 ottiene il divorzio. Nel 1921 Einstein le versò l’intero contributo ottenuto con l’assegnazione del premio Nobel per la Fisica. Dunque, le voleva bene, perlomeno conosceva il rispetto e il dovere coniugale del maschio.  

    Come è possibile vedere, nell’arco di 2500 anni, non era cambiato nulla in quello che era il ruolo e la percezione che l’umanità aveva della donna. Ma, le cose non erano diverse in Cina, Giappone, Sicilia, e in tutte le altre parti del mondo.

     Raccontare la storia della donna partendo da quello che hanno scritto e detto gli uomini del passato, è epistemologicamente incorretto. È come se, volendo raccontare una storia della schiavitù, prendessimo per buono quello che degli schiavi raccontano i negrieri o i bianchi della Louisiana.
          
In altre parti del mondo

     Ma, a voler fare il giro del mondo, pare che tutte le società abbiano avuto in passato gli stessi comportamenti e le stesse distorsioni percettive nei confronti della donna. Ricordiamo un passaggio del romanzo “La buona terra” di Pearl S. Buch, premio Nobel per la letteratura, che negli anni ’30 descrisse i costumi della Cina. In questo libro bellissimo, la Madre, protagonista del romanzo, ringrazia gli Dei per averle dato tre figli maschi. In realtà, una era femmina. Ma, lei cercava di ingannare le divinità vestendo la figlia con gli abiti dei fratelli, sperando che non si accorgessero del fatto che fra i tre c’era una femmina. Ed era éscamotage che la buona madre adottava per fare in modo che gli Dei potessero avere un occhio di riguardo anche per la figlia femmina.

     Ed è sempre proveniente dalla Cina una notizia di cronaca apparsa tempo fa sul settimanale l’Espresso.

     Si tratta di un articolo che documenta l’agghiacciante grado di indifferenza degli abitanti di una città della provincia dello Henan davanti al cadaverino di una neonata abbandonata per strada, e sulle sevizie che tuttora vengono perpetrate in Cina nei confronti delle donne e delle famiglie che mettono al mondo neonati di sesso femminile. Leggiamo la confessione che una ostetrica cinese fa al giornalista Marco Lupis.
  
La strage degli innocenti

     Giorni fa sono andata ad aiutare una donna che aveva partorito una figlia, qui nel villaggio dello Henan. La neonata non respirava bene. Ho tentato di rianimarla finché non le è venuto fuori un grido. Ero soddisfatta. Poi ho sollevato lo sguardo verso la nonna della bimba. Era furente. “Perché non l’hai lasciata morire? - mi ha gridato - Non respirava! Ora per colpa tua è viva”. E continuava ad inveire contro di me. “Siamo tutte donne - le ho risposto - la bambina ha lo stesso diritto di vivere che abbiamo noi”. Allora ho preso la bambina per consegnarla alla madre. Era una donna istruita. Quando ha visto che era una bambina l’ha allontanata: “Cosa mi succederà? Cosa ho fatto di male per partorire una femmina?” A quel punto - continua il racconto dell’anziana levatrice - ho cominciato a ricordare la mia infanzia. Il primo ricordo è quello di mia madre che piange, seduta, che mi guarda e piange: “Perché dobbiamo preoccuparci per te, Ming Li? Tanto, fra non molto diventerai proprietà di un’altra famiglia”.

   Questa di Ming Li sembra una delle tante storie che appartengono al Medioevo. Un Medioevo che cova ancora dentro di noi. Basti pensare a quante bambine vengono ancora oggi affogate, poche minuti dopo aver visto la luce, o lasciate sui binari del treno avvolte in una coperta. Troppo spesso, ancora oggi, è questo il destino delle bambine, al punto che nel 1996 in una provincia della Cina il rapporto fra maschi e femmine era di 30 femmine per ogni131 maschi. [1]            
    
     Le parole di queste donne testimoniano l’angoscia e la percezione negativa che la cultura cinese ha da sempre avuto nei confronti della donna. Nelle pagine che esamineremo più avanti troveremo di tutto: misoginia, violenza, mancanza di umanità, di moralità, di valori, donne terrorizzate, follia collettiva, forme di schizofrenia sociale.

   Per questo, faremo un salto indietro di qualche millennio, ci recheremo con la moviola del tempo nella Grecia antica e vedremo cosa ci dicono poeti e filosofi a proposito della donna, poi sfoglieremo la Bibbia per capire cosa ci racconta il libro sacro, sempre sullo stesso argomento, per continuare ancora con le aberranti invettive che sulla donna sono state lanciate dai Padri fondatori della Chiesa cattolica e sui delitti commessi nei confronti delle cosiddette streghe durante i lunghi secoli della inquisizione. Chiuderemo la nostra ricerca con Hildegard von Bingen (1098-1179) monaca e personaggio straordinario, che in pieno medioevo scrive pagine di storia contemporanea assolutamente potenti, ma ancora sconosciute.  

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                                    “O Giove! Che dono ci hai fatto?
                                  Di che razza sono queste donne? 

                                                                da      “Agamennone”, Eschilo



Capitolo Primo

                                            PANDORA







[1] Sulla soppressione delle femmine alla nascita, la Contea di Modica non era  seconda a nessuno. Da documenti anagrafici (riveli), lo studioso Gianni Morando rilevava l’anomalo rapporto fra maschi, molto più numerosi delle femmine nel 1600. Segno evidente che tale consuetudine  era praticata  anche fra le cristianissime popolazioni iblee.